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Persino Zingaretti si rimangia tutto su Giuseppi "Macché punto di riferimento dei progressisti..."

L'ex segretario Pd due anni fa lo elogiava, oggi lo scarica senza alcuna pietà

Persino Zingaretti si rimangia tutto su Giuseppi "Macché punto di riferimento dei progressisti..."

Un'intervista per consacrarlo e un'altra per affossarlo. Come sono cambiate le cose in quasi tre anni. Dai giallorossi al campo largo. Da Giuseppe Conte «punto di riferimento fortissimo dei progressisti» al leader grillino dimezzato di questi giorni. La prima definizione sull'avvocato di Volturara Appula all'epoca fece discutere, così come, adesso, suscita ironie la sua sconfessione. A parlare è sempre Nicola Zingaretti, a dicembre del 2019 segretario del Pd, ora «solo» governatore del Lazio. Se Zingaretti, in un colloquio con il Corriere della Sera, tre mesi e mezzo dopo l'insediamento del Conte due innalzava Conte a riferimento dei progressisti, ieri in un'intervista al podcast Metropolis di Repubblica certifica il cambiamento del quadro politico. E la mutazione della sua opinione nei confronti dell'ex premier, anche se Zinga si affretta a precisare che si tratta di «un dato di fatto, non di un giudizio, eh...».

Ma la sottolineatura vale poco. Le dichiarazioni dell'ex segretario del Pd mettono il sigillo su un rapporto che si è trasformato. Con Conte che da garante di un accordo di governo tra i dem a trazione sinistra e i Cinque Stelle è diventato il capo in bilico di un partito litigioso e scosso da una scissione propiziata dall'ex capo politico, quel Luigi Di Maio che gode di un canale privilegiato con il Nazareno, a partire dal segretario Enrico Letta. «Lo dissi in un momento particolare: all'indomani dell'elezione di Conte a premier di una nuova alleanza», si giustifica Zingaretti. Un passo indietro. «Ma che ora sia punto di riferimento mi pare una cosa superata», prosegue.

E ancora un'altra critica al vecchio punto di riferimento. Il presidente del Lazio si dice d'accordo con il ministro dem Dario Franceschini, che ha detto che se il M5s esce dall'esecutivo salta anche l'alleanza con il Pd. «Ha ragione, non la interpreto come una minaccia - spiega Zingaretti nell'intervista ripresa anche da La Stampa - ha anticipato un dato oggettivo. A pochi mesi dalla scadenza naturale, si fa cadere il governo, e poi si pensa di rifare il governo assieme qualche mese dopo? Non siamo una compagnia di giro». Non contento, l'ex leader stronca pure le ambizioni di Conte di diventare di nuovo premier. Anzi, pronostica un futuro a Palazzo Chigi per l'attuale segretario Enrico Letta: «Mi sembra che il leader naturale sia il segretario del partito che avrà più voti». Una frase che apre anche alle spinte proporzionaliste in seno ai democratici. Infatti Zingaretti non parla di coalizioni ma di partiti.

Le parole dell'ex segretario sono la spia di un rapporto che si è rotto tra Conte e l'ala sinistra del Pd. Stando alle indiscrezioni, si sono fatti sempre più rari i contatti tra l'avvocato pugliese e il Richelieu giallorosso Goffredo Bettini, più presente nel suo buen retiro in Thailandia che a Roma. E si registrano frizioni tra Conte e il vicesegretario dem Peppe Provenzano.

L'ex ministro di Conte sarebbe stato pronto a correre da governatore della Sicilia con l'appoggio del M5s e senza primarie, ma il giurista foggiano ha stoppato l'operazione, deciso a far prevalere un esponente grillino, magari Giancarlo Cancelleri, la cui candidatura è saltata sull'altare della regola dei due mandati e della contrarietà di Beppe Grillo.

Intanto i renziani si fregano le mani per la conversione dell'ex segretario. «Zingaretti dice che Conte non è più il punto di riferimento progressista. Noi lo dicevamo due anni fa salvando il Paese dalla miopia di quelli come Zingaretti. In politica bisogna saper scegliere i tempi, non arrivarci per contrarietà. Meglio tardi che mai, Nicola», twitta il senatore di Italia Viva Francesco Bonifazi.

Ritwitta Matteo Renzi.

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