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Più commissioni che diritti da difendere. Ma Pd e grillini vogliono un altro poltronificio

Arriva l'ennesimo ente anti-discriminazioni. Con uffici, personale e stipendi

Più commissioni che diritti da difendere. Ma Pd e grillini vogliono un altro poltronificio

Ci sono più commissioni che diritti da difendere. Le poltrone invece non sono mai abbastanza. Nel 2010 ci sono troppi comitati e per unificarli nasce il «Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni». A dire il vero non è proprio unico. Ci sono anche le Commissioni regionali di parità costituite con leggi regionali, ovviamente con corrispondente provinciale e comunale. E i consiglieri (o le consigliere) nazionali di parità oltre al Comitato nazionale di parità. Senza nulla togliere al Dipartimento per le pari opportunità di Palazzo Chigi. E senza dimenticare l'Unar, ufficio nazionale anti discriminazioni. Che ovviamente non poteva restare così isolato. E allora si crea, fra le polemiche per il mancato voto del centrodestra, la Commissione parlamentare straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza e razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza, la cosiddetta «Commissione Segre».

Pare incredibile, ma sono passati già due anni senza che si sia dato alla luce un nuovo ente. Ecco perché Pd e M5s si stanno dando un gran da fare nella commissione Affari costituzionali della Camera per accelerare su una proposta di legge che battezza la «Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani fondamentali e per il contrasto alle discriminazioni». L'urgenza era tale che sono stati depositati ben tre testi, due di marca pentastellata (primi firmatari Giuseppe Brescia ed Emanuele Scagliusi) e uno Pd (Lia Quartapelle), ora avviati all'approvazione con un testo base unificato.

Gli scopi sono sempre gli stessi: innanzitutto «vigilare». Su ogni forma di violazione di diritti e in particolare «sulla parità di trattamento e sull'operatività degli strumenti di tutela, per la rimozione di qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla nazionalità, sul sesso, sulla razza, sulla lingua, sulla religione, sulle opinioni politiche e sulle condizioni personali e sociali». Praticamente un copia e incolla delle mission di tutti gli altri. Ma questa commissione vale di più. Perché non solo farà posto a cinque commissari eletti per cinque anni dalle Camere con maggioranza qualificata ma, allo scopo di garantirle «indipendenza di giudizio», sarà «dotata di autonomia organizzativa, funzionale e finanziaria di proprio personale e di una propria sede». Dunque, poltrone con budget, personale da assumere e in grado di sopravvivere oltre i confini dell'attuale traballante legislatura. I cinque commissari avranno un'indennità massima di 160mila euro l'anno e dovranno essere scelti secondo i criteri del nuovo Cencelli, cioè «assicurando un'adeguata rappresentanza di genere, tenendo conto della diversità etnica della società, della gamma di gruppi vulnerabili e garantendo il rispetto della diversità nonché la rappresentanza pluralistica delle forze sociali».

Il pretesto è inattaccabile. Mica come in passato, quando si ricorreva all'abusato «ce lo chiede l'Europa». Stavolta ce lo chiede l'Onu, attraverso apposita mozione approvata dall'Assemblea che chiedeva di dotarsi di un'autorità indipendente. Il fatto che ce lo chiedesse nel 1995 rende solo più urgente la cosa. Chissà se l'Onu sa di tutte le altre commissioni che già esistono.

A meno di dire che nessuna di questa abbia la specifica caratteristica richiesta, l'indipendenza. In attesa di sapere chi saranno i fortunati commissari, resta sullo sfondo un fastidioso dubbio: moltiplicare i paladini serve a combattere meglio la sacrosanta crociata per i diritti?

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