"Più soldi o in piazza". Landini ricatta il governo e i comunisti si accodano

Il leader Cgil impone l'agenda alla sinistra. Conte subito genuflesso, Letta in imbarazzo

"Più soldi o in piazza". Landini ricatta il governo e i comunisti si accodano

Stavolta, per l'occasione, si è messo in giacca e cravatta, rinunciando alla tenuta da descamisado che esibisce in piazza per arringare le masse.

Del resto l'occasione è - almeno per lui - solenne: Maurizio Landini, segretario Cgil, chiama a raccolta i capi-partito del centrosinistra per dettare l'agenda dell'«autunno caldo», e vedere chi ci sta. Sulla base di un assunto tanto lineare quanto bislacco: voi (i partiti) non rappresentate più nessuno perché «come si è visto alle ultime Amministrative, e pure in Francia, va a votare meno del 50% degli elettori». Mentre noi (Landini) «abbiamo un sistema per cui se alle elezioni delle Rsu va a votare meno del 50% più uno il voto non è valido», quindi noi (Landini) rappresentiamo il «mondo del lavoro». Ergo, non solo «vogliamo essere consultati» su come fare la legge di bilancio, ma «vogliamo essere coinvolti alla pari» nella sua scrittura. Dice proprio «alla pari»: la Cgil, insomma, deve diventare interlocutore diretto del governo quanto il Parlamento, anzi di più perché le Rsu vengono elette col 50% più uno e quindi sono più rappresentative degli eletti del popolo.

Anzi, aggiunge, a dire il vero noi (Landini) abbiamo già qui in tasca la proposta bella e pronta della prossima finanziaria, che prevede ogni mirabilia: aumento (minimo «200 euro netti») dei salari, defiscalizzazione e decontribuzione, taglio del cuneo fiscale tutto in busta paga, validità «erga omnes per legge» dei contratti nazionali, pensioni anticipate, stop precarietà e chi più ne ha più ne metta. Del resto, ammette, «a me il populismo non fa paura». E si vede.

La sfida è chiara: chi farà proprio il programma Cgil avrà l'imprimatur democratico di rappresentante delle istanze dei lavoratori e della vera sinistra, chi si sottrae se la dovrà vedere con la «mobilitazione di piazza».

All'appello di Landini rispondono tutti: da Letta a Conte a Acerbo (che per chi non lo sapesse è segretario di Rifondazione, che per chi non lo sapesse esiste ancora), passando per Calenda e il renziano Rosato (che entrambi gli dicono educatamente: «No, grazie, le tue ricette sono un po' sballate») fino a Speranza, Fratoianni e Elly Schlein, vice-presidente della Regione Emilia Romagna. Che di suo un partito, fosse pure Rifondazione, non ce l'ha, ma che nell'immaginario Pd può essere la portabandiera di una sorta di «lista civica nazionale», molto giovane e di sinistra e un po' verde e pure donna, da allegare al «campolargo», nel frattempo un po' ristrettosi. Giuseppe Conte, ancora provato dallo stress di questi giorni, dà ragione a Landini su tutto, spiega che i lavoratori «chiusi in casa due anni per il Covid, hanno scoperto una percezione più complessiva del loro benessere psico-fisico e della qualità della vita», riconosce che «il tasso di democraticità del sistema sta scendendo sempre più in basso», dice che Saramago lo aveva anche previsto, e che «la riduzione dei parlamentari pone un grande problema di rappresentatività», come se non l'avesse voluta lui. Aggiunge che ci vuole «il salario minimo per sfuggire ai contratti pirata» eccetera.

Enrico Letta è quello nella posizione più difficile, tra l'incudine del sostegno al governo Draghi e il martello Cgil: «L'autunno sarà molto faticoso», ammette, chiedendo «una svolta nell'agenda sociale, a partire dalla questione salariale». Altrimenti, è il sottinteso, vince la destra. Poi l'appello per «un centrosinistra unito», indirizzato innanzitutto a M5s. Nella speranza che Landini dia una mano.

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