L'Italia di 60 anni fa era più giovane, più ricca di speranze e di opportunità, per le nuove generazioni di quella di oggi. Aveva molti meno soldi, la vita media era molto minore, ma la gente era più felice, anche se andava in vespa o in Lambretta anziché in auto mobile e se viaggiava in terza classe, in vecchi vagoni, anziché con l'AV. Il quadro che l'Istat ci presenta di come era l'Italia 60 anni fa si apre con la giovinezza della popolazione di allora: la metà della popolazione italiana aveva 31 anni e ora ne ha più di 45.
La piramide demografica si è rovesciata. Ciò perché allora la vita media degli italiani era più corta dei paesi europei. Ma la popolazione in Italia di media è invecchiata anche perché ci sono meno nascite: le donne ora fanno meno figli di allora e spesso sopra i trent'anni. Però alle nascite la mortalità in Italia è sotto il 3 per mille (fra le più basse d'Europa) allora era il 50 per mille e in Europa il 4 per mille. Per capire, però, che cosa è cambiato, nella vita quotidiana dobbiamo considerare il tipo di lavoro che si faceva allora e quello che si fa oggi. In Italia allora il 15% della popolazione attiva era occupata in agricoltura, adesso solo lo 1,3%. L'Italia era allora un paese ad alto sviluppo economico, a causa del suo sviluppo industriale, con tasso di crescita del Pil che superava il 5% negli anni 50 e che negli anni 60 non discese sostanzialmente sotto il 5%. Ora noi ci compiacciamo della crescita dello 1,5% e aspiriamo al 2%. Il benessere misurato in Pil per abitante aumentava, nelle famiglie oramai tutti avevano in frigorifero, molti avevano la lavatrice, la cucina si modernizzava, sparivano i bagni sul ballatoio, c'erano quelli in casa, piastrellati, con la vasca e il lavabo. Le automobili che alla fine degli anni 60 erano ancora 20 per abitante, nonostante la vorticosa crescita nel precedente ventennio, ora sono 60 per abitante contro la media europea di 50, ma abbiamo lo smog. Allora la disoccupazione era al 4% ed ora è tre volte tanto. Il tasso di occupazione era il 60% della popolazione, ora è il 57%, nonostante ci siano meno giovani. Allora molti emigravano perché le donne facevano più di due figli e si lasciavano i paesi agricoli sovra popolati. Le donne che lavoravano nei campi cercavano lavoro nell'industria e nei servizi in Italia e lo trovavano. Anche oggi gli italiani emigrano ma per ragioni diverse.
E questo è il punto dolente: una volta infatti i nostri emigranti erano manodopera che cercava lavoro all'estero (lasciando le campagne e le montagne) con una agricoltura che cresceva ma usava più macchine e meno braccia. Ora gli italiani che emigrano sono giovani e persone di mezza età qualificate, che cercano all'estero un lavoro adatto alla propria competenza e al proprio impegno che in Italia non trovano, mentre il flusso degli immigrati in Italia ha una bassa qualificazione. Che cosa è accaduto? Perché l'economia si è ingessata e si stava meglio quando si stava peggio, anche solo negli anni 80? La risposta è che nel Dopoguerra, caduto il fascismo con le sue bardature corporative, c'era libertà economica e le iniziative si potevano esplicare, trovando il compenso per il merito anziché l'automatismo delle carriere e l'appiattimento retributivo.
C'erano anche altre tre cose importanti: una classe politica con De Gasperi, Vanoni, Einaudi, Togliatti, Nenni, Saragat, Pella, Martino e Di Vittorio. C'era l'etica del lavoro, materiale e intellettuale. C'erano i valori. Si studiavano Croce, Marx, Popper e c'era Eugenio Montale. La pressione fiscale era bassa e comunque favoriva il risparmio.
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