Coronavirus

Piacenza, strage nel silenzio. E nessuno parla di Zona rossa

Dati Istat: la provincia emiliana è terza per mortalità. Eppure le misure, prese o mancate, non sono un caso

Piacenza, strage nel silenzio. E nessuno parla di Zona rossa

Milano «Basso Lodigiano». Lungo l'autostrada del Sole, all'uscita di Guardamiglio, dopo 60 anni è stato piazzato questo nuovo cartello al posto del tradizionale «Piacenza Nord». L'hanno chiesto i sindaci del Lodigiano, e in effetti lo svincolo si trova sulla sponda lombarda, a un passo dal «confine» regionale. In futuro, l'uscita dovrebbe tornare a contemplare entrambi i nomi, in ogni caso questa disputa campanilistica la dice lunga: i due territori sono attaccati, e molto integrati. Da Piacenza a Codogno sono 20 minuti di strada. E 15 minuti la separano da Fombia, il Comune più meridionale fra i dieci che il 21 febbraio sono diventati Zona rossa.

La provincia di Piacenza, non è mai stata dichiarata Zona rossa, eppure non è stata meno martoriata di quella di Lodi. La questione è stata sollevata da qualcuno, ma non è diventata un caso nazionale. I piacentini contagiati sono stati 4.535, con 963 decessi. L'Emilia-Romagna (con meno della metà degli abitanti della Lombardia) dall'inizio dell'epidemia ha registrato 28.170 positivi e 4.224 morti. Molti in Emilia. La «narrazione» mediatica, però, vuole che il governatore Stefano Bonaccini (Pd) abbia fatto grandi cose, mentre il collega lombardo Attilio Fontana sarebbe stato - lui - l'artefice di una sorta di disastro. Di Emilia Romagna, comunque, si parla poco o niente.

L'ultimo report Istat è appena uscito, si intitola «Covid-19 e scenari di mortalità: un'analisi a livello provinciale». Nello studio si analizza l'impatto dell'epidemia sugli indici di mortalità dei vari territori. E nella triste classifica delle prime dieci Province per variazione del tasso di mortalità rispetto allo scenario base, Piacenza è terza, superata solo da Cremona e Bergamo. «Se si tiene conto dei cambiamenti nella speranza di vita alle diverse età prospettati dai diversi scenari - si legge - si ha modo di cogliere come, ad esempio nello scenario moderato, alle condizioni di mortalità (di speranza di vita) ipotizzate vi siano alcune Province in cui si registra una riduzione del patrimonio demografico anche nell'ordine del 5-10%. Ciò è quanto accade per le Province di Bergamo, Cremona, Lodi, Piacenza, Brescia, Lecco, Parma e Pavia». In questo ordine di province molto colpite dal fenomeno dunque, Piacenza, supera Lodi e Brescia, e Pavia, da cui è separata (o unita) solo dalla A 21, altra cerniera autostradale. Ed è rilevante, il tema delle infrastrutture viabilistiche, tanto che secondo uno studio di aprile del San Raffaele, la A21 sarebbe stato uno dei «corridoi» del Covid, se è vero che da Brescia a Torino tocca alcune delle città risultate più colpite. «L'epidemia non guarda ai confini amministrativi - aveva detto Carlo Signorelli, ordinario di Igiene all'università Vita-Salute di Milano - ma piuttosto alle grandi vie di comunicazione e scambio». In quella ricerca, allora, la provincia di Piacenza appariva la più colpita in assoluto. Il dato Istat, quindi, non è una sorpresa. Molti altri indici statistici, nelle ultime settimane, l'hanno confermata fra le prime d'Italia per gli effetti dell'ondata epidemica. E la stampa locale ha dato notizia dell'arrivo anche in questa Procura dei primi esposti presentati dalle famiglie delle vittime.

Ieri, per fortuna, per il quinto giorno consecutivo Piacenza non ha pianto vittime da Coronavirus, e anzi tre giorni fa ha finalmente registrato con sollievo lo svuotamento delle terapia intensiva. Eppure - scrive La Libertà - «il bilancio resta drammatico».

Eppure, di questo dramma, nessuno parla.

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