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Il piano dei "dorotei" Pd per un amico al Quirinale

Il disegno dell'ala di Franceschini: puntare al pari. È il modo per ritrovare una figura vicina sul Colle

Il piano dei "dorotei" Pd per un amico al Quirinale
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Il Pd delle correnti somiglia sempre più alla Dc di una volta. Il correntone che nasce per appoggiare ma nello stesso tempo per condizionare Elly Schlein ricorda i dorotei. Magari il paragone farà rizzare i capelli a sinistra, ma in realtà - nel bene e nel male - i dorotei hanno scritto la Storia della Dc. Un nome per tutti: Aldo Moro nacque in quella corrente. Come i loro padri acquisiti i dorotei del Pd ambiscono a rappresentare il baricentro del partito.

Dario Franceschini che ha mosso i suoi primi passi in politica nella Democrazia Cristiana, sia pure in un'altra corrente quella di sinistra, è più di altri l'erede di quelle logiche, di quelle alchimie, di una filosofia che vede nel governo il fine ultimo dell'azione politica. Un approccio che probabilmente servirà a mitigare il movimentismo scapigliato di Elly Schlein e a dotarla di quel tocco di pragmatismo di cui è carente il suo cerchio più stretto. Perché ai dorotei del Pd non interessa la personalizzazione del Potere, la Schlein può restare la segretaria del partito e interpretarne la leadership, ma semmai concorrere, condizionare e, se necessario, imporre la linea politica.

Un approccio simile lo riconosci già in alcun posizioni che sono state sposate nell'assemblea fondativa della corrente a Montepulciano. Andrea Orlando è per il "no a tutti i costi alla legge elettorale della Meloni". Mentre l'ex-ministro della Sanità, Roberto Speranza, si lascia andare ad un ragionamento che è una lezione di "pragmatismo" doroteo: "La posta in gioco è alta e non riguarda solo il governo del Paese. Il prossimo Parlamento non darà solo la fiducia, ma eleggerà il prossimo Presidente della Repubblica. Bisogna impedire che venga eletto un presidente post fascista".

Se si coniugano queste due enunciazioni si comprende quali saranno le linee fondamentali della politica del "correntone": il "no" ad un sistema che assegna il governo ad una parte grazie ad un "premio" elettorale è il "no" allo schema del vinci o perdi; anche perché, gratta gratta, i dorotei del Pd non vogliono lasciare nelle mani del duello Giorgia-Elly le sorti del Paese visto che nelle prossime elezioni politiche è in ballo anche il Quirinale, una carica che in trent'anni di seconda Repubblica il centrodestra non è riuscito mai ad assicurare ad una sua personalità.

In questa logica tutti i discorsi sul "bipolarismo", sulla "legittimazione reciproca" non gli garbano o gli interessano poco. Preferiscono affidarsi a meccanismi diversi perché non se la sentono di puntare tutto (chiamali scemi) sulle chance della Schlein. Tra il rischio di una sconfitta o di una difficile vittoria prediligono il probabile pareggio, figlio dell'attuale legge elettorale, un pareggio in cui le carte saranno date da un inquilino del Colle che considerano imparziale o addirittura amico. Com'è avvenuto negli ultimi 15 anni.

Ecco perché è remota l'idea che possano dire di "sì" alla

legge elettorale della Meloni. Da quelle parti amano il "bipolarismo" solo a parole, prediligono il "partecipare" sempre e comunque al governo. Fedeli alla regola di un altro democristiano: il Potere logora chi non ce l'ha.

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