Roma - Alessandro Di Battista ha un piano ben preciso: far saltare il governo Conte alla vigilia delle elezioni europee. Creare l'incidente di percorso sulla manovra, arrivando al voto in primavera da separati in casa. Dal Sudamerica, il Che Guevara grillino, in attesa del rientro in Italia (previsto per Natale), lavora per sabotare l'alleanza giallo-verde.
In tanti nell'universo pentastellato hanno interpretato nella dichiarazione sul Tap «Mettetemi al chiodo» - un messaggio in realtà rivolto ai compagni del Movimento che sono al governo con Lega. E pare ci sia sempre lo zampino dell'ex parlamentare dietro la fronda parlamentare che minaccia di non votare il decreto sicurezza nel passaggio a Montecitorio. Sarebbe un altro tassello del piano del Dibba; una strategia che punta a minare le basi dell'accordo tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Non sono solo i sondaggi, che danno il M5S in picchiata, e le tante promesse disattese, ma a spaventare Di Battista è altro scenario: la nascita di un governo di centrodestra. Con Salvini e Palazzo Chigi e il sostegno di una pattuglia di responsabili grillini.
Le informazioni che da Montecitorio giungono in Sudamerica confermano i timori del Dibba: Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e braccio destro di Salvini, avrebbe confidato a un parlamentare del sud del Pd di aver in mano già l'ok di 48 responsabili del M5s. Parlamentari pronti a salutare il M5S per votare la fiducia a un esecutivo di centrodestra. Forza Italia, Lega e Fratelli di Italia arrivano a 261. Con i 48 responsabili si tocca quota 309. Per ottenere il via libera ne servono altri 15: un obiettivo a portata di mano. Di Battista teme che in caso di emorragia nel gruppo parlamentare, il M5S subirebbe un danno di credibilità enorme. «Con quale affidabilità ci ripresentiamo agli italiani se una parte dei nostri parlamentari, una volta eletti, cambia casacca?» È stato lo sfogo di Di Battista a chi l'ha sentito in questi giorni. Più trascorre il tempo e più c'è il rischio che la fronda di responsabili cresca. Anche perché i parlamentari al secondo mandato non avrebbero più alcun interesse a restare nel M5S, sapendo di non essere più ricandidati. Per il Dibba bisogna giocare d'anticipo: bombardare l'alleato, costringerlo allo strappo. Già sulla legge di bilancio. Arrivare al voto sulla manovra con in tasca la prospettiva del divorzio. In quel caso, anche il mancato raggiungimento dell'obiettivo sul reddito di cittadinanza avrebbe un minor impatto sull'elettorato grillino. Il piano dell'ex parlamentare si scontra con le ambizioni del capo politico Di Maio che non ha alcuna intenzione di mollare poltrona e leadership già nel 2019. Ma soprattutto percepisce la manovra di accerchiamento. Ieri il vicepremier ha provato ad allontanare scenari di rottura con l'alleato leghista: «Come capo politico del Movimento devo assicurare la lealtà del Movimento a questo Governo. Il decreto si deve approvare. È una questione di correttezza. Non ci si può rimangiare la parola». Mentre il ministro dell'Interno annusa la trappola degli uomini di Di Battista: «Passerà entro il 3 dicembre oppure salta tutto. Mi rifiuto di pensare che qualcuno voglia tornare indietro».
Salvo poi affidare a fonti del Viminale una precisazione: «Si riferisce al decreto sicurezza e non ad altro». Ma il passaggio a Montecitorio potrebbe essere la prima scossa al governo. In attesa del terremoto sul manovra.
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