Cronache

La piccola Matilda uccisa con un calcio. E 16 anni dopo nemmeno un colpevole

Innocenti la madre e il compagno: non uccisero loro la bimba

La piccola Matilda uccisa con un calcio. E 16 anni dopo nemmeno un colpevole

Vercelli. Non c'è un colpevole per la morte della piccola Matilda Borin. La Cassazione ha messo la parola fine ad una storia cominciata 16 anni fa, certificando un paradosso giudiziario e lasciando la morte di una bambina senza verità. Era il 2 luglio del 2005 quando Matilda morì in una villetta a Roasio, nel Vercellese. Aveva 22 mesi: l'autopsia certificò che a ucciderla, al termine di un'agonia lunga un'ora, fosse stato un violento colpo alla schiena che le causò lesioni al fegato, a un rene e a una costola. Probabilmente un calcio, secondo gli inquirenti, dato in un impeto d'ira. In casa c'erano solamente altre due persone: Elena Romani, la madre della bimba, e Antonio Cangialosi, il suo compagno di allora. A distanza di oltre 16 anni entrambi sono stati assolti in tre gradi di giudizio dall'accusa di omicidio preterintenzionale. Prima lei e poi lui a distanza di 9 anni.

Nella tarda serata di venerdì è arrivata la decisione della quinta sezione penale della Corte di Cassazione. Il ricorso, presentato dagli avvocati Roberto Scheda e Tiberio Massironi che rappresentavano rispettivamente mamma e nonni della bimba costituti parte civile, contro l'assoluzione di Antonio Cangialosi dall'accusa di aver ucciso la piccola Matilda è stato dichiarato inammissibile.

Inizialmente fu Elena Romani a finire sotto accusa: negli occhi e nelle orecchie di tutta Italia c'era ancora il caso del piccolo Samuele a Cogne. Rinviata a giudizio per omicidio preterintenzionale, processata e assolta dopo aver trascorso 118 giorni in carcere e 153 agli arresti domiciliari. Dal 2012, con il pronunciamento della Cassazione, è completamente scagionata. Da venerdì lo è anche Cangialosi. Il primo rinvio a giudizio per lui è arrivato nel 2014. Due anni più tardi è seguita la prima assoluzione. Nel 2018 la corte di assise d'appello di Torino ha confermato la sentenza del gup di Vercelli. Le parole pronunciate allora dal sostituto procuratore generale Marcello Tatangelo, quando chiese di confermare l'assoluzione di Cangialosi, oggi rimbombano in maniera assordante: «Il fatto che dopo tredici anni non si sia potuti arrivare a un giudizio di colpevolezza sulla morte della piccola Matilda è una sconfitta per tutti noi che ci siamo occupati del caso e una sconfitta del sistema giudiziario». Tutto reso ancora più amaro dalle motivazioni della sentenza: "Uno dei due è certamente colpevole: perché certamente o uno o l'altro ha mentito, dal momento che entrambi hanno negato di aver colpito Matilda". In 15 anni il risultato dell'addizione giudiziaria, pur cambiando l'ordine di imputati e giudici come addendi, non è mutato. Anni di indagini, intercettazioni e perizie per stabilire cosa fosse successo nell'arco di pochi minuti nella villetta di Roasio non hanno portato a chiarire con chi fosse la bambina quando ricevette il colpo alla schiena.

L'avvocato vercellese Roberto Scheda, sempre a fianco di Elena Romani, ha parlato di «peccato originale» in termini giudiziari, riferendosi alla separazione delle posizioni della sua assistita e di Antonio Cangialosi. «Ora a Matilda è stata negata la giustizia» dice.

«Chiudiamo una vicenda dolorosa nel rispetto di Matilda» ha replicato Andrea Delmastro, legale di Cangialosi.

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