Nel 2020 il nostro prodotto nazionale, il Pil , secondo i «sensori» dell'Istat, ha avuto un crollo dell'8,8 per cento. Una cifra spaventosa, che qualcuno cerca di addolcire argomentando che è migliore di quella prevista dal governo - ossia il 9% - , e di Banca di Italia e del Fondo Monetario Internazionale che avevano previsto una debacle del 9,2 percento.
Le imprese italiane, grandi, piccole e medie hanno fatto miracoli e se siamo riusciti a chiudere l'anno con 0,4 punti in meno della previsione più pessimistica delle autorità monetarie, preoccupate dalla voragini di debiti che stiamo facendo, e 0,2 punti in meno rispetto alle stime del governo. In sintesi: invece che cadere in fondo al burrone, siamo caduti quasi al fondo. Ma a un livello tale, per cui nel 2021, se seguitiamo a rinviare gli investimenti, bloccati dalle procedure contorte, per cui ci vogliono 100 giorni prima che la domanda di apertura di un cantiere sia accettata, non saremo in grado di recuperare neanche la metà di questa caduta. Confcommercio ha sottolineato come i nuovi dati non modifichino l'aspettativa che il 2021 si chiuda con una ripresa decisamente inferiore al 6 per cento fino ad oggi indicato dal governo Conte.
Una caduta drammatica anche per i suoi effetti sull'occupazione. La disoccupazione è infatti risalita al 9%. Ma il blocco dei licenziamenti occulta quella vera. Questo blocco prima o poi, va tolto, perché esso grava sui costi delle imprese, che, dato ciò, posso andare in rosso, dovendo pagare loro costi sociali, a cui non riesce a provvedere la finanza previdenziale. Che è già gravata dalla cassa integrazione guadagni straordinaria delle imprese in crisi e da quella ordinaria delle altre.
Purtroppo il dicembre 2020 ha segnato un pericoloso regresso, dovuto agli effetti negativi dei «lockdown». Perciò l'Istat stima che negli ultimi tre mesi del 2020 il Pil sia diminuito del 2% rispetto al trimestre precedente e del 6,6% in confronto al quarto trimestre del 2019. Esso, a sua volta, aveva registrato una caduta del 3% sul trimestre precedente, mangiandosi la modesta crescita del Pil sino ad allora accumulata. In sostanza nel quarto trimestre di quest'anno si è avuta una decrescita del 10% sul Pil medio annuo del 2019.
Che cosa è andato storto nel quarto trimestre ? La risposta, in termini di perdita di posti di lavoro è una spia eloquente di ciò che è accaduto. Infatti sul totale dei 444 mila posti di lavoro persi nel 2020, ben 312mila sono di donne, mentre gli uomini hanno perso 132mila posti. E poiché l'occupazione totale del 2019 era di 23 milioni di unità, e le donne occupate erano 9,3 milioni, esse erano il 40% del totale. I maschi erano il 60%. I 312mila posti persi dalle donne nel 2020 sono il 3,5% del totale dei loro posti di lavoro del 2019. Invece sui 13,8 milioni di posti di lavoro maschili, i 132mila persi nel 2020 sono un po' meno dello 1%. Le donne sono occupate di più nel commercio e pubblici esercizi e nel part time.
Se ne desume che la crisi ha colpito di più le imprese minori e del terziario, che non reggono il blocco dei licenziamenti. Il Job Act di Renzi e il Decreto Dignità che hanno irrigidito il mercato del lavoro hanno generato disoccupazione E ciò, soprattutto a carico delle donne. Sui 444mila posti di lavoro persi ben 209mila, il 47%, sono di lavoratori autonomi mentre i lavoratori autonomi sono solo 6 milioni sui 23 milioni di occupati. Anche per gli autonomi come per le donne la perdita di posti supera il 3%: è il 3,3 percento.
Viene falciata dalla crisi un'ampia fascia del ceto medio operoso, delle arti e professioni. E urgente una riforma fiscale dell'Irpef con la flat tax, che beneficerà soprattutto il lavoro, dipendente e autonomo che ne paga la quota maggiore.
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