La Germania frena, e per l'Italia la contrazione dello 0,2% accusata nel terzo trimestre dal Pil tedesco non è una buona notizia. Berlino ha cercato di minimizzare quello che può essere solo un inciampo episodico che però, se ripetuto anche nel periodo ottobre-dicembre, spedirebbe diritto il Paese in recessione tecnica. Certo possono aver pesato le tensioni commerciali innescate dal duello a colpi di dazi tra Usa e Cina, così come i nuovi test sulle emissioni che hanno impattato sulla produzione automobilistica, ma questo è comunque un segnale di indebolimento che tocca il Paese che rappresenta un terzo dell'economia dell'eurozona. E non va sottovalutato, perché potrebbe indicare un deterioramento congiunturale più rapido di quanto previsto perfino dalla Bce. Anche se il numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann, ha subito messo le mani avanti: «Nonostante i dati, la ripresa economica in Germania e nell'area dell'euro rimane intatta». Weidmann ha del resto un obiettivo: arrivare il prima possibile alla normalizzazione della politica monetaria, ossia al primo rialzo dei tassi da parte dell'Eurotower dal giurassico 2011.
Ma la prima flessione del prodotto lordo tedesco da tre anni e mezzo a questa parte, cioè dai tempi in cui Eurolandia stava ancora leccandosi le ferite della crisi del debito sovrano, pone subito l'interrogativo di quanto sia verosimile la crescita dell'1,5% per il 2019 prevista dal governo italiano. Se la Germania non cresce (o cresce di meno), il nostro Paese non può non risentirne. Nel 2017 le esportazioni italiane verso la locomotiva d'Europa sono state pari a 55,8 miliardi di euro. E nei primi mesi di quest'anno erano ancor meglio incanalate verso il mercato tedesco, pronto ad assorbire merci made in Italy per un controvalore che ha sfiorato i 30 miliardi. Sono cifre da non trascurare. In caso di minori acquisti, i primi settori a essere colpiti sarebbero quello dei macchinari e apparecchiature (8,1 miliardi lo scorso anno) e quello dei prodotti alimentari (3,8), due comparti molto sensibili alla capacità di spesa delle imprese e delle famiglie.
È peraltro il clima congiunturale a livello globale a presentarsi già perturbato, con possibili veri e propri rovesci il prossimo anno. Anche il passo della Cina, da anni tra i maggiori pilastri della crescita, si è fatto più pesante per effetto delle tensioni commerciali e per lo stesso rallentamento che sta subendo la crescita in tutto il mondo. Anche gli Stati Uniti, a dispetto dei più recenti numeri su Pil e occupazione, potrebbero pagare il conto della war trade innescata da Trump e della politica monetaria più restrittiva attuata dalla Federal Reserve. Dopo aver impattato sui mercati finanziari, gli aumenti dei tassi rischiano infatti di colpire anche un'economia reale in cui si sta assistendo alla perdita di potere d'acquisto indotta dai dazi.
Mettere un +1,5% accanto alla voce Pil 2019 sembra una missione impossibile. Anche se la Bce decidesse di tornare in campo.
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