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La "pirata" Carola salvata dai giudici. Speronare le navi non è un reato

Il pm di Agrigento chiede di non processare la Rackete e la gip (che l'aveva già scarcerata) archivia: "Agì per salvare vite". È un precedente: alle Ong sarà consentito forzare i blocchi navali

La "pirata" Carola salvata dai giudici. Speronare le navi non è un reato

«È un dovere salvare vite» dei migranti in mare. Anche a costo di sacrificare cinque uomini della guardia di finanza. È il messaggio che passa dall'accoglimento da parte del gip di Agrigento Alessandra Vella della richiesta del procuratore capo Luigi Patronaggio di archiviare l'inchiesta contro Carola Rackete, la comandante della Sea Watch 3 che il 29 giugno 2019 prima forzò il blocco navale vigente per le navi Ong di entrare in acque territoriali italiane, disobbedendo all'alt della Guardia di finanza, e all'1,50 del mattino, con una manovra pericolosa, attraccò al molo di Lampedusa speronando una motovedetta delle Fiamme gialle con a bordo cinque militari. Questi rischiarono di venire schiacciati tra le 600 tonnellate della Sea Watch e la banchina del molo. Il fine giustifica i mezzi secondo l'attivista tedesca, il cui obiettivo era far sbarcare i 42 migranti in Italia.

Scartate, infatti, le opzioni della Libia in quanto non ritenuto porto sicuro e della Tunisia «perché non ha una normativa ad hoc che tutela i rifugiati», sorvolando sul diniego di Malta allo sbarco, la Ong Sea Watch, che ricorse persino alle vie legali - col Tar del Lazio che sulla liceità del divieto di ingresso, transito e sosta in acque italiane, suffragato dal decreto sulla Sicurezza bis, diede ragione al Viminale - invece di far rotta con la Sea Watch 3 verso l'Olanda, che aveva concesso la bandiera alla nave, si mise a ciondolare davanti a Lampedusa per poi forzare il blocco.

Con la decisione assunta ieri dalla gip Vella, la stessa che non convalidò l'arresto della Rackete per resistenza o violenza contro una nave da guerra (e dopo il ricorso della procura, la Cassazione le diede ragione), il caso si chiude. Non ci sarà processo perché secondo la procura la comandante agì in stato di necessità avendo a bordo da 17 giorni 42 migranti che non erano ancora stati autorizzati a sbarcare. Porta pazienza, dunque, se i cinque finanzieri rischiarono la vita. Ci se ne faccia una ragione e si archivi anche questo.

Eppure la decisione della gip Vella, che appare la più logica possibile visto l'andazzo assunto sin dall'inizio dal caso in questione, stride con le conclusioni cui è arrivato il collegio del tribunale del Riesame di Ragusa in un altro caso importante, quello contro Mare Jonio in cui l'ex disobbediente Luca Casarini e soci sono accusati dalla procura iblea di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina pluriaggravato per avere trasbordato da una petroliera danese 27 migranti sulla Mare Jonio dietro pagamento di 125mila euro, per poi farli sbarcare a Pozzallo. I giudici, rigettando la richiesta di riesame dei difensori, in poche parole dicono basta all'utilizzo della carta del soccorso in mare per giustificare azioni illegali. Non è infatti un jolly che solleva da ogni responsabilità. Se si infrangono le leggi non si può restare impuniti.

Intanto i legali della Rackete esultano: «Con l'archiviazione il gip di Agrigento ha riconosciuto il dovere di salvare vite umane» dice Salvatore Tesoriero, che difende la comandante con i colleghi Leonardo Marino e Alessandro Gamberini. «L'archiviazione dell'inchiesta scrive su Twitter la Sea Watch Italy - conferma quello che sosteniamo da sempre: salvare vite non può essere reato». Al rischio corso dai finanzieri non si fa cenno. «I pm dicono che Carola Rackete non va processata? Lascio giudicare loro dice Salvini - Dico solo che nel 2019, alla data di oggi, sbarcarono 1.200 clandestini.

Adesso siamo a quasi 14mila».

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