Il pm di Venezia: "Strumento invasivo. Un errore ampliarlo"

Il pm di Venezia: "Strumento invasivo. Un errore ampliarlo"

Stefano Ancilotto, procuratore aggiunto a Venezia, si è occupato per anni con Carlo Nordio della maxi-inchiesta sul Mose e di tanti altri casi di reati contro la pubblica amministrazione e reati fiscali.

Ha utilizzato nelle sue indagini i trojan, virus informatici che da marzo avranno meno limiti per l'entrata in vigore della riforma?

«La possibilità nella nostra procura, in questo campo all'avanguardia, c'è dal 2012 ma li abbiamo usati sempre con grande cautela, perché lo strumento è molto invasivo: come se la persona si muovesse sempre con un microfono addosso, visto che il virus entra nei cellulari portatili. Nel 2019, per esempio, vi siamo ricorsi in 15 casi su un migliaio».

Ma ora avrete meno paletti.

«È stato ampliato il raggio di applicazione e utilizzazione dei risultati, rispetto alla legge Orlando, perché i reati contro la pubblica amministrazione vengono equiparati a quelli di criminalità organizzata. Si tratta di uno strumento che andrebbe usato eccezionalmente. Equiparare corrotti e corruttori a mafiosi è una scelta molto forte. Se prima bisognava comunicare tempi e luoghi dove attivare il microfono ed escludere gli ambienti di vita privata, ora non c'è più questo obbligo e si possono utilizzare i risultati anche se emergono reati diversi da quelli ipotizzati quando si è chiesta l'autorizzazione».

E lei come valuta queste novità?

«Credo che quest'ultima distinzione fosse assai giusta. Mi ha lasciato perplesso l'ampliamento dell'utilizzo, non lo condivido. Mi sembrano più giuste le regole della riforma Orlando che limitava l'uso delle intercettazioni solo ai reati autorizzati. Un'osservazione importante: sembra che il legislatore vada in senso contrario alle decisioni restrittive delle Sezioni Unite della Cassazione, in due sentenze del 2016 e del dicembre 2019, che limitano le intercettazioni con trojan al crimine organizzato».

Dubbi di costituzionalità?

«Non credo, ma un contrasto con la giurisprudenza della Suprema Corte si. Bisogna essere ben consapevoli che ora la legge permette un'attività investigativa decisamente più invasiva e lo strumento può sfuggire di mano. Si può seguire la pista informatica nelle email, anche negli appunti salvati in bozza, quasi pensieri di vita in un diario, che possono essere cambiati. Comunicazioni personali e segretezza vengono sacrificati e questo lo capisco in casi gravissimi, ma servono delle garanzie a monte».

Ma si autorizzano solo intercettazioni ambientali, di conversazioni tra persone, o no?

«È così, ma dipende dalle caratteristiche dello strumento evitare che si possa scaricare da cellulari, computer, tablet tutto quello che c'è, con intercettazioni telematiche non autorizzate.

Ecco perché mi aspetto velocemente dal mininistero i decreti ministeriali sui requisiti dei programmi sicuri, per infettare i dispositivi. Il rischio è che ogni ditta proceda in modo autonomo, con una minore garanzia per l'intercettato. La scelta del software vuol dire consentire solo ciò che è autorizzato».

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