Vaccino anti Covid in arrivo. L'azienda biotech americana Moderna si piazza in testa nella corsa per la produzione del vaccino contro il Sars Cov2. Prima della fine di luglio, precisamente il 27, prenderà il via l'ultima fase dei test clinici per la messa a punto del farmaco. È prevista una sperimentazione allargata su almeno 30 mila persone. La metà dei volontari riceverà una dose di 100 microgrammi mentre l'altra assumerà una sostanza placebo. Lo studio dovrebbe durare sino al 27 ottobre.
Non è un sorpresa che dopo questo annuncio le azioni dell'azienda siano volate sul mercato. La corsa al vaccino rappresenta un bussiness miliardario. Sono più di 13 milioni le persone contagiate nel mondo e le vittime sono salite a 570mila.
Gli scienziati e l'Organizzazione mondiale della Sanità hanno ribadito che l'unico modo per uscire dalla crisi pandemica è quello di avere un vaccino. I tempi di una sperimentazione completa e accurata però non permettono di mettere a punto una profilassi efficace prima di un anno e mezzo al minimo. Ecco perché molti esperti mettono in guardia l'opinione pubblica rispetto alla sicurezza dei primi vaccini che arriveranno sul mercato: non è detto che siano i più efficaci o i più sicuri. In particolare per questo vaccino sembra mancare una sperimentazione sufficientemente ampia rispetto agli effetti collaterali.
Buone notizie sull'effetto che hanno i raggi solari sul virus arrivano invece da un gruppo di fisici che in uno studio confermano quanto già ipotizzato dall'Università di Oxford: in 7 minuti il sole inattiva il virus. Ricerca pubblicata sul Journal of Infectious Disease nel maggio scorso.
Ora un team italiano composto da medici e astrofisici che sta elaborando una serie di studi sulla materia conferma questo effetto positivo dei raggi ultravioletti.
Gli autori fanno parte dell'Università degli Studi di Milano (dipartimento Luigi Sacco), Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e Istituto nazionale dei tumori.
Mario Clerici, professore ordinario di Immunologia all'Università di Milano e direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi, evidenzia che nelle aree dove è minore la quantità di UvA e UvB, maggiore è il numero di infezioni.
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