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"Pochi spiragli". Il Quirinale si prepara al peggio

Mattarella risente Draghi e sceglie la linea del silenzio. Quattro giorni per mediare

"Pochi spiragli". Il Quirinale si prepara al peggio

E allora «aspettiamo mercoledì». Che cos'è, una speranza concreta? O soltanto un mantra? Chissà, magari, tutto può succedere, anche che da qui al 20 luglio si apra uno spiraglio, che il premier ci ripensi, che Conte si scusi, ma insomma, vista dalla prospettiva del Colle, la crisi sta prendendo una brutta piega. Il capo dello Stato (Sergio Mattarella, nel tondo) giovedì ha ricevuto due volte nel suo studio un Mario Draghi furioso, «molto determinato», e «pronto a lasciare». L'ha risentito ieri informalmente e l'ha trovato più sereno, però ancora «fermo» nella sua scelta: quindi, si sarà detto Mattarella, è meglio non farsi troppe illusioni, mettersi in modalità zen e attrezzare il Quirinale per le prossime tempeste. Cancellati gli impegni. Annullata una visita in Piemonte, a Stresa e Verbania, dove era previsto un incontro con il presidente tedesco Franklin-Walter Steinmeier. Sbarrati i canali di comunicazione. «Sono i giorni del silenzio». Smentita ogni forma di intervento diretto sui partiti. «Il presidente della Repubblica non interferisce nelle dinamiche interne», anche se sotto traccia il negoziato continua.

Dunque, «aspettiamo mercoledì», quando il premier, ancora non sfiduciato quindi nel pieno possesso dei suoi poteri, si presenterà alle Camere per informare ufficialmente il Parlamento sulla situazione che si è creata dopo lo strappo dei grillini. Si limiterà a delle «comunicazioni» sulla rottura del patto di maggioranza e sull'impossibilita di proseguire nel programma di governo? O ci sarà un dibattito e un successivo voto di fiducia? La speranza è che, messi davanti alle loro responsabilità di fronte a un quadro mondiale pessimo, i partiti ritrovino un sussulto di senso dello Stato.

Dal Colle però al momento vedono «pochi spiragli», e dentro quelle due parole c'è un po' di tutto. La prudenza, la scaramanzia, il tatticismo, la consapevolezza che stavolta per Sergio Mattarella sarà difficile compiere un altro miracolo di ingegneria costituzionale. Se Draghi vorrà dimettersi, si dimetterà, al massimo lo si potrà trattenere per l'ordinaria amministrazione che, tra guerra, Covid, emergenza economica, bollette, inflazione, tanto ordinaria non è.

Siccome però mercoledì è lontano, la fiammella può restare accesa. Nel doppio faccia a faccia con Draghi il capo dello Stato ha infatti ottenuto due risultati parziali. Primo, ha evitato che abbandonasse subito Palazzo Chigi respingendo la riconsegna del mandato. Secondo, ha indirizzato la questione verso il luogo giusto, il Parlamento, guadagnando pure del tempo prezioso. Basterà, non basterà? Un tentativo comunque dovuto, viste le condizioni del Paese e considerati i problemi previsti per i prossimi mesi. Tra l'altro, finché Draghi ha i numeri dalla sua parte e non «parlamentarizza» la crisi, la crisi non esiste nemmeno.

Poi ci sono valutazioni più concrete, come l'Algeria, un viaggio cruciale nel tentativo di affrancarsi dalla dipendenza energetica dalla Russia e al quale il presidente del Consiglio non poteva certo partecipare da dimissionario. «Un amministratore delegato senza deleghe non può firmare contratti». E allora il comandante per ora resti a bordo e poi si vede.

«Aspettiamo mercoledì».

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