"Le polemiche in Italia dettate dall'invidia. Ma quello è uno scoop"

"Davanti a un confronto in esclusiva gli altri colleghi provano a sminuirne la forza"

"Le polemiche in Italia dettate dall'invidia. Ma quello è uno scoop"

L'intervista a Lavrov.

«Cominciamo col dire - risponde Carlo Rossella - che siamo davanti a uno scoop. E che lo scoop l'ha fatto un giornalista italiano». Che ora viene accusato di aver fatto da scendiletto al potente ministro degli Esteri di Mosca. Il principe del giornalismo, direttore negli anni della Stampa, di Panorama, del Tg1 e del Tg5, non si scompone: «Io non giudico i colleghi».

Sì, ma molti hanno attaccato Giuseppe Brindisi per non aver duellato con Lavrov.

«Non mi pare il punto centrale della questione».

E qual è il punto centrale?

«Brindisi ha compiuto un'operazione giornalistica molto importante perché ci ha permesso di conoscere il pensiero di Lavrov, non uno che passa in mezzo alla strada, e quindi del Cremlino. Non mi stupirei se fosse stato Putin a spingerlo in questa direzione».

Più o meno la filosofia di Putin l'avevamo già sentita.

«A grandi linee. Ma qui il ministro degli Esteri ha chiarito molti punti. Zelensky dice che l'Occidente non deve fronteggiare Mosca a mani nude. Ecco, ora sappiamo alcune cose in più e questo è un aspetto decisivo. Pensi alle parole spese sul 9 maggio».

Non ci sarà la tregua o la pace?

«Non credo proprio: Lavrov è stato netto e ha escluso passi indietro per quella data».

Ma Lavrov non ha fatto propaganda e allo stesso tempo disinformazione?

«Purtroppo il suo è il punto di vista di Mosca: un Paese nemico dell'Occidente».

E pure dell'Italia?

«Questo è uno dei passaggi più significativi».

Le minacce all'Italia?

«Sì, le bordate all'Italia che fa parte di uno schieramento che sta con l'Ucraina e contro la Russia. D'altra parte, mi pare non ci possano essere dubbi: Mosca è l'aggressore, Kiev l'aggredito. Non è stata l'Ucraina cattiva con Mosca, è stata Mosca cattiva con l'Ucraina».

Draghi ha criticato l'intervista. Anzi, il «comizio».

«Ha ragione. Ma fossi il governo italiano, mi preoccuperei più delle parole sibilline del russo che non del contraddittorio fra Lavrov e Brindisi. C'è stato tutto un capitolo sull'Italia da rileggere con attenzione: il Paese che sapeva distinguere il nero dal bianco e ora sarebbe scivolato sul pensiero unico, allineato agli Usa. Le interviste del ministro degli Esteri sono rarissime, anche per le tv russe. Siamo davanti a una novità e dobbiamo analizzare bene questi messaggi nello stile delle matrioske: una cosa viene detta, un'altra è sottintesa e una terza viene evocata. Questi riferimenti vanno compresi bene».

Ma perché concedere lo scoop a una tv italiana?

«Forse l'Italia è nemica, ma meno di altri paesi. Poi non so come siano andate le trattative. Certo, se il colloquio fosse avvenuto con una tv tedesca, saremmo qui a ripetere la solita litania».

Quale?

«Quella dei provinciali: siamo un Paese che non conta, di seconda o terza fila. E i potenti del mondo conversano con i giornalisti inglesi, americani o tedeschi. Ma se l'intervista la fa un italiano, allora le cose cambiano».

In che senso?

«Quando un collega realizza uno scoop, tutti gli altri provano a sminuirne la forza».

Insisto, Brindisi avrebbe dovuto contrastare il suo ospite con più veemenza?

«Può darsi che sia stato frenato dal retropensiero che Lavrov, se si fosse irritato, avrebbe potuto alzarsi e andarsene. Ma devo aggiungere un'altra considerazione terra terra».

Sul giornalismo tricolore?

«Sull'indignazione».

Prego.

«L'indignazione ha spesso un fondo di invidia. E come l'acqua: entra di qua, ma passa anche da un'altra parte».

Lei nella sua carriera è stato anche inviato spesso a Mosca.

Come era la sua Russia?

«Era sempre molto difficile intervistare i big. Ma uno scoop l'ho fatto anch'io: ho pubblicato su Panorama la lettera in cui un piccato Breznev replicava a Berlinguer che stava sganciando il Pci dall'orbita di Mosca».

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