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Poletti nel baratro ma Renzi lo difende

Spuntano altre immagini imbarazzanti per l'ex numero uno di Legacoop, il premier: "Una foto non è una tangente"

Poletti nel baratro ma Renzi lo difende

RomaNo, non può finire così. «Prendere una tangente non è la stessa cosa che fare una foto a cena», scrive Matteo Renzi. «Quello che emerge dalle indagini fa letteralmente schifo. Ma va respinto con forza il tentativo di mettere tutti sullo stesso piano, com'è stato fatto ingiustamente contro un galantuomo come Giuliano Poletti. Non sono tutti uguali... ».

Giuliano Poletti è un galantuomo. Un galantuomo che per più d'un decennio ha gestito il sistema di 12.234 cooperative associate nella Legacoop. Un colosso smisurato, come sa chiunque si sia trovato a competere con esso, specie in presenza di giunte di centrosinistra. Eppure in questa rigogliosissima foresta imprenditoriale curiosamente Poletti sceglie un fungo speciale, forse allucinogeno: la «29 giugno» di Salvatore Buzzi, così da coltivarne un rapporto privilegiato. «Ero convinto che Salvatore Buzzi fosse una persona perbene», si giustifica il ministro. Salvatore, un (forse ma forse no) galantuomo condannato nell'80 per l'omicidio di una prostituta. «Sapevamo tutti che Buzzi era stato condannato per omicidio - dice ancora Poletti - Ma noi, che viviamo in questi mondi, pensiamo che ci sia la possibilità di cambiare la propria vita». Perbene, perciò, in quanto redento. Anzi, di più: simbolo di una «redenzione» possibile, al punto da diventare artefice di un autentico miracolo come la «29 giugno» che in (relativamente) pochi anni di lavoro nelle attività sociali del Comune di Roma arriva presto a fatturare 60 milioni di euro, con incrementi annui fino al 26,5 per cento.

Dunque: Poletti un galantuomo, Buzzi una persona perbene. Tanto da partecipare, l'attuale ministro all'epoca presidente di Legacoop, evidentemente «a propria insaputa», alla cena finita su tutti i giornali come simbolo del malaffare di Mondo di mezzo. Ma il problema purtroppo è che non si tratta di una sola foto, quella del 2010, come sostiene il premier. Sul Magazine della «29 giugno» la foto dei due, Poletti e Buzzi, campeggia nel numero dedicato all'approvazione del bilancio del 2013. Nell'editoriale Buzzi scrive che dedicare la copertina a «all'amico ministro» non è casuale. Lo esprimerà a parole, nella relazione di bilancio, con un «augurio di buon lavoro al nostro ex presidente nazionale che più volte ha partecipato alle nostre assemblee e al governo Renzi affinché possa realizzare tutte le riforme...». Altro che rapporto casuale, visto che un'altra foto di copertina, sempre dell'inossidabile coppia, campeggia pure nel numero sul bilancio 2012. Con intervista «esclusiva» all'interno, nella quale il patron Legacoop teorizza come prospettiva obbligata per il futuro del sistema delle cooperative proprio quello delle cooperative sociali.

A tutt'oggi la situazione - politica non giudiziaria, tanto per evitare fraintendimenti - di Poletti sembra quella di un uomo che penzola sul vuoto. Vuoti di memoria e vuoti di un sistema che si è sempre avvalso della clientela come moneta di corso legale in politica. Questa è una responsabilità e una colpa, non si può ancora fingere di ignorarlo. Oggi che a reclamare una spiegazione in Parlamento ci sono perfino soggetti storicamente vicini, come la Cgil della Camusso (vendetta per il Jobs Act , lamentano i renziani, mischiando sacro e profano). O come Rosy Bindi, che non si accontenta della reazione indignata ma lo invita a chiarire, perché «siamo garantisti ma se i nostri sbagliano ne traiamo le conseguenze». Eppure ancora ieri Poletti, lo schifato dalle «schifezze», dichiarava che a dimettersi «non ci pensa proprio».

Altri, per molto meno, non sarebbero usciti di casa per la vergogna.

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