È stata Liliana Segre, con i suoi 91 anni, lo scudo forte che ha riparato Elisabetta Alberti Casellati dalle minacce di morte via social, conclusione di una campagna di lettere anonime dirette alla presidente del Senato. Era il 15 aprile del 2020 quando la senatrice a vita è stata eletta all'unanimità presidente della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza. Vittima delle leggi razziali a otto anni e nel 1944 deportata ad Auschwitz, superstite lei ma non il padre né i nonni paterni, da allora decisa a sradicare le radici dell'odio ovunque cerchino di annidarsi.
La sua reazione al caso Casellati è stata immediata, convinta com'è che bisogna difendersi dalla «banalità del male». C'è lo sgomento di Hannah Arendt e «le riunioni di condominio» di cui tanto spesso parla Liliana Segre, per provare per quali facili strade della banalità l'avversione riesce a trasformarsi in odio. Capita anche sui social.
La presidente della commissione, amica della Casellati, non si è limitata a telefonarle per esprimerle «la sua affettuosa vicinanza», ma ha aggiunto parole pesanti: «Purtroppo conosco bene l'argomento. Sono certa che questi anonimi vigliacchi messaggeri di morte non resteranno impuniti».
Insiste sulla difesa delle donne: «Tutto il mondo politico deve sentire la responsabilità di unirsi per difendere la civiltà dei rapporti, il rispetto verso le donne che in ruoli diversi si impegnano nella vita pubblica, il rispetto verso le istituzioni».
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