Polizia, i giubbotti antiproiettile non reggono a pallottole e lame

Il Viminale ha speso 800mila euro per 1.300 protezioni Sono state prodotte in Italia. Ma non hanno superato i test

Polizia, i giubbotti antiproiettile non reggono a pallottole e lame

Il materiale in dotazione alla Polizia mette a rischio la vita degli agenti. Il ministero dell'Interno, nel novembre del 2016, aveva bandito una gara per l'acquisto di 1.300 giubbetti antiproiettile antilama sottocamicia, con l'opzione di altri 850, per un totale di spesa di 795.500 euro iva esclusa (quindi a circa 610 euro l'uno), da fornire alla Polizia di Stato. Ad aggiudicarsi la gara una ditta italiana, in collaborazione con una seconda società estera.

Sembrava tutto andasse bene, tanto che c'era soddisfazione, tra gli agenti, per il primo passo, voluto anche dal capo della Polizia, prefetto Franco Gabrielli, verso il cambio del materiale in dotazione ai poliziotti, spesso costretti a lavorare con in dosso giubbotti antiproiettile con le piastre balistiche scadute, con caschi datati e non più a norma e armi, tipo gli M-12, degli anni Settanta. Peccato che dopo l'aggiudicazione, arrivati alle prove tecniche antilama e antiproiettile presso il balipedio del Banco nazionale di prova, i sottocamicia non abbiano superato tre su tre di test previsti. Questo perché, a volte, nella produzione post gara le ditte utilizzano materiali più scadenti. Risultato: l'amministrazione dovrà indire un nuovo bando, con evidente spreco di denaro pubblico, per rimettere l'offerta sul mercato. I sottocamicia, infatti, non avrebbero retto a eventuali colpi o tentativi di accoltellamento e per gli agenti si sarebbe incorsi in rischi non di poco conto, mettendo a repentaglio la loro stessa vita, visti anche i numerosi episodi di cronaca che non lasciano spazio all'immaginazione.

Il fatto è che il ministero dell'Interno tende sempre più spesso ad affidarsi a realtà che forniscono materiale a basso costo, oppure a costi molto alti, ma senza ricercare la giusta qualità. Alcune di queste società realizzano materiale ignifugo per i vigili del fuoco e attraverso joint venture con ditte estere producono anche materiale balistico, lasciando però spesso al caso dettagli non di poca importanza, di solito acquisiti con l'esperienza.

Solo per fare un esempio, i caschi a oggi in dotazione alla Polizia non sono balistici, per cui il rischio per gli agenti, in caso di proiettile vagante, è molto alto. Con i sottocamicia il ministero dell'Interno ha bandito una gara anche per l'acquisto di 12mila caschi protettivi per l'ordine pubblico, con l'opzione di altri 14mila, al costo complessivo di 7 milioni 800mila euro (650 euro l'uno iva esclusa). Ha richiesto il modello chiuso, che solo una ditta, peraltro italiana, poteva fornire, non lasciando spazio alle altre. Solo che i caschi presi sono sì resistenti al fuoco, ma non ignifughi per cui, in caso di lancio di molotov, il rischio è che si fondano causando ustioni all'agente.

Il problema era già stato sollevato lo scorso anno dal Coisp, uno dei sindacati di Polizia, che aveva scritto al capo della Polizia, parlando di «gravissime anomalie tecnico logistiche, giubbotti antiproiettile che si bucano in sede di collaudo e kit antisommossa che devono essere aggiustati con un cacciavite». Il ministero aveva risposto, alle richieste del sindacato, di «aver distribuito 2.512 giubbotti marca Nfm e 3.427 marca Grassi» e che le prove balistiche avevano avuto «esito positivo». Per capire, da una verifica risulta che la ditta Nfm è bandita dalle gare dell'Esercito svedese per falsificazione documentale.

Da chiedersi, quindi, perché non si decida di affidarsi a ditte che allo stesso

costo di quello indicato nei bandi italiani forniscono già alle polizie estere materiale balistico, di alta qualità e, soprattutto, che garantisca l'incolumità di chi ogni giorno sta su strada per difendere l'ordine pubblico.

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