Cronache

Il poliziotto che prese Brusca è finito nella polvere

Renato Cortese non fa rumore perché è un uomo di Stato, è uno sbirro come pochi, un calabrese impastato di Sicilia

Il poliziotto che lo prese è finito nella polvere

Un cortese silenzio. Tutti parlano di Giovanni Brusca, nessuno ricorda chi quel macellaio lo ha stanato il 20 maggio 1996, grazie a una moto smarmittata, mentre guardava un film su Giovanni Falcone assieme a suo fratello Enzo nel suo covo vicino al mare nell'Agrigentino. Renato Cortese non fa rumore perché è un uomo di Stato, è uno sbirro come pochi, un calabrese impastato di Sicilia, eppure per una vicenda su cui persino il capo della polizia Lamberto Giannini nutre fortissimi dubbi, è stato condannato in primo grado a cinque anni di carcere. Si tratta della rendition (gestita da capo della Squadra Mobile di Roma) di Alma Shalabayeva, catturata con la figlia nella notte tra il 28 e 29 maggio 2013 a Casalpalocco. La moglie del dissidente kazako Muhtar Ablyazov, ricercato dall'Interpol che ne chiedeva l'arresto con tanto di red notice, aveva un passaporto falso della Repubblica centroafricana e in base alla legge Bossi-Fini fu espulsa e rimpatriata con il nullaosta della procura guidata da Giuseppe Pignatone e l'ok del tribunale dei minori di Roma. Si scoprì poi che il magnate aveva fatto richiesta a Londra della protezione umanitaria. Un pasticcio. Si dimise Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto dell'allora ministro dell'Interno Angelino Alfano. «Fu un sequestro di persona», dice il tribunale di Perugia, che ne ha chiesto l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. «Ma in quel momento Ablyazov era considerato un pericoloso delinquente», ricorda il suo legale Franco Coppi. Niente da fare. Cortese era diventato questore a Palermo, coronamento di una carriera da superpoliziotto antimafia, invece se n'è andato in silenzio «con il cuore spezzato». Ma chi aveva dato l'ordine dal Viminale è stato risparmiato.

Quando ricorda la cattura di Brusca Cortese ama sottolineare lo spartiacque della sua carriera, «centinaia di cittadini sotto la Mobile ad applaudirci anziché a insultarci». Qualcuno dice che dietro la sua condanna ci fosse un pizzino contro Pignatone, suo mentore da Palermo a Reggio Calabria, per colpa dei difficili equilibri tra la procura della Capitale e Perugia descritti da Luca Palamara nel libro Il Sistema.

Se sette italiani su dieci e sempre più ragazzi continuano a nutrire fiducia nella Polizia, come dice l'Eurispes, è merito degli sbirri come Cortese, mascariato da una condanna che per molti non merita.

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