
Per il momento le dimissioni da vice di Giuseppe Conte sarebbero state soltanto minacciate, ma la denuncia di quello che, secondo Chiara Appendino, sarebbe "un problema politico" di un Movimento troppo a traino del Pd resta. Il primo smottamento interno al M5s da anni a questa parte si registra all'assemblea dei gruppi pentastellati di Camera e Senato. Anche se l'ex premier smorza: "Non c'è stato nessun annuncio di dimissioni, non c'è n'è motivo. Andiamo insieme al Pd solo se ci sono programmi condivisi". Eppure, il malumore emerge dopo il 4,4% raccolto alle elezioni in Toscana in coalizione con il centrosinistra di Eugenio Giani, dopo un percorso che ha portato all'accordo, che è stato definito "sofferto" dallo stesso Conte. Però l'accusa di Appendino è senza tanti fronzoli: "Siamo troppo appiattiti sul Pd, non stiamo andando bene, bisogna mettersi in discussione e mi ci metto anche io". Da qui le voci sulle dimissioni da vicepresidente del M5s. L'ex sindaca di Torino, che in passato più volte aveva espresso le sue riserve su un'alleanza organica coi dem, esorta a non nascondersi dietro formule autoassolutorie e individua nel patto con il partito guidato da Elly Schlein la radice del calo di consensi dei Cinquestelle. Un mal di pancia interno che, fino a questo momento, scorreva come un fiume carsico, ma che adesso si salda alle preoccupazioni degli eletti per le percentuali che otterrà il M5s alle prossime elezioni politiche. Con conseguenti timori di perdere il seggio per deputati e senatori. Il tutto nonostante il terzo mandato. "I nostri elettori non capiscono il campo largo, rischiamo il flop anche alle politiche", sbuffa un parlamentare. C'è chi indica nel 10% la "soglia psicologica" sotto la quale è vietato andare nella partita nazionale, dove Conte vuole giocare un ruolo importante, magari provando a correre alle primarie del campo largo.
Ma, intanto, il M5s fa i conti con i risultati delle regionali. E quindi l'assemblea congiunta di martedì sera, aggiornata a martedì prossimo. Ad andare in scena ieri, invece, il Consiglio nazionale pentastellato, alla presenza di Conte e dello stato maggiore del partito. Assente proprio Appendino. Se c'è chi, nei gruppi parlamentari, teme una flessione di consensi a causa dell'alleanza con il Pd, non manca nemmeno chi fa notare che l'ex sindaca non avrebbe parlato di dare le dimissioni da vicepresidente del M5s e che avrebbe potuto rassegnarle ieri nel summit con i vertici post-grillini. Ma non solo: tra deputati e senatori c'è anche chi fa notare come il M5s abbia ottenuto risultati scarsi anche quando ha corso da solo. "Come alle regionali in Piemonte l'anno scorso, quando abbiamo preso il 7% nel voto alla nostra candidata e il 6% di voto di lista", è la sottolineatura maliziosa di qualche parlamentare riferita alla regione di Appendino, dove i pentastellati - soprattutto su input dell'ex sindaca - hanno optato per la corsa solitaria, scartando da subito l'ipotesi di un accordo con il Pd.
E Conte ricorda: "Io devo andare in rinnovo per il voto della presidenza, anche i vicepresidenti sono in scadenza, Appendino l'ho nominata io, se ci fossero state le dimissioni sarebbero arrivate prima a me". Insomma, ribadisce l'ex premier, non c'è nessun appiattimento sul Pd "anche in ossequio a quello che è emerso dal processo costituente che ha definito, autodefinito, il M5s come una forza progressista indipendente".