Cronache

Il prefetto archiviato dopo 7 anni di calvario. Aveva fatto risparmiare allo Stato 2,5 milioni

La Procura di Trieste: "Un'inchiesta basata su un teorema grossolano"

Il prefetto archiviato dopo 7 anni di calvario. Aveva fatto risparmiare allo Stato 2,5 milioni

Reati privi di fondamento, un grossolano teorema basato sul nulla, indagini senza senso e costose dall'altra parte dell'Italia sono solo alcuni passaggi pesanti come pietre, che smontano un'inchiesta sulla gestione dei centri per i migranti andata avanti per anni. Nel mirino l'attuale prefetto di Venezia, allora a Gorizia, Vittorio Zappalorto, che ne sta uscendo a testa alta con la richiesta di archiviazione della procura generale della Corte d'appello di Trieste. Se verrà accolta dal Gip del tribunale di Gorizia sarà confermato l'ennesimo caso di malagiustizia imputabile ad alcuni magistrati che fanno male il loro lavoro o sono più interessanti a risvolti politici.

Fra il 2014 e 2015 Zappalorto, come prefetto di Gorizia, si occupa del caos di due centri per i migranti di espulsione e per i richiedenti asilo a Gradisca d'Isonzo. L'alto funzionario mette alla porta una Onlus siciliana per fare spazio ad una realtà locale con l'obiettivo di portare un po' d'ordine facendo risparmiare allo Stato due milioni e mezzo di euro.

Al contrario il sostituto procuratore di Gorizia, Valentina Bossi, che già indagava da tempo punta il mirino su Zappalorto accusandolo di tutto: da presunti maneggi per la gara della gestione dei centri a sovrafatturazioni intestate alla Prefettura e ovviamente mancanze nei confronti dei migranti che non ricevevano sigarette, soldi e neppure l'acqua. Il risultato è che sulla testa del prefetto piombano accuse pesantissime di associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d'asta, truffa aggravata e falsi. Nel frattempo Zappalorto riveste la carica di commissario comunale a Venezia dopo lo scandalo del Mose ed oggi è prefetto. Dopo il clamore mediatico dello scorso anno il fascicolo di Gorizia cade nel dimenticatoio fino a quando i difensori di Zappalorto puntano sull'avocazione a Trieste.

Un mese fa il sostituto procuratore generale della Corte d'appello del capoluogo giuliano, Carlo Maria Zampi, chiede al Giudice per le indagini preliminari di Gorizia l'archiviazione del caso con dieci paginette pesanti come macigni. Il magistrato rileva come «i vari illeciti iscritti ai funzionari operanti presso la Prefettura di Gorizia siano del tutto privi di fondamento». Non solo: l'accusa «si è limitata a ripercorrere le considerazioni della Guardia di Finanza senza un adeguato vaglio critico» confondendo illeciti amministrativi con reati penali. Le indagini erano state affidate alle Fiamme gialle di Tarcento «corpo privo di competenza territoriale - si legge nella richiesta di archiviazione - che ha acquisito migliaia di documenti con la dilatazione temporale legata anche alla distanza rispetto ai luoghi di interesse». In pratica i finanzieri hanno speso un sacco di energie con perquisizioni e indagini dall'altra parte del paese su ipotetici reati «per i quali è arduo individuare una effettiva connessione processuale con le indagini goriziane». E per farlo lo Stato si è accollato «delle onerose trasferte in Sicilia per l'acquisizione di documenti di scarsa importanza () con rilevanti esborsi di denaro per consentire le relative missioni».

L'inchiesta monstre, secondo il sostituto procuratore generale di Trieste, si basa sul nulla ovvero «un apodittico e grossolano teorema in base al quale qualunque funzionario della Prefettura di Gorizia avesse avuto una parte nella vicenda diveniva ipso facto un concorrente nei vari reati».

La conclusione è che per le accuse al prefetto Zappalorto e altri funzionari viene chiesta l'archiviazione perché «il fatto non sussiste».

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