Coronavirus

Il premier inguaiato si butta su un dossier anti Lombardia

Le mosse difensive di Conte sulle mancate zone rosse al Nord: una memoria in Procura ed esporre i ministri

Il premier inguaiato si butta su un dossier anti Lombardia

La narrazione del colpevole perfetto (Attilio Fontana) per i 16 morti da coronavirus in Lombardia andava benissimo al presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Ma c'è un cambio di programma: l'inchiesta della Procura di Bergamo (al momento senza indagati) per epidemia colposa punta dritto su Palazzo Chigi. «L'istituzione della zona rossa nella Bergamasca, ad Alzano Lombardo e Nembro, i due comuni della Bassa Valseriana dove nei primi giorni di marzo si registrò un boom di contagi da coronavirus, avrebbe dovuto essere una decisione governativa. Da quel che ci risulta è una decisione governativa», spiega il procuratore facente funzione di Bergamo Maria Cristina Rota. Parole che spiazzano un premier, ormai abituato al linciaggio quotidiano contro il presidente della Lombardia Fontana e il suo assessore al Welfare Giulio Gallera. Il cambio di scena, ignorato dai giornali filogovernativi, mette con le spalle al muro l'esecutivo. Smentendo tutta la narrazione anti lombarda gettata in pasto a una parte della stampa nei giorni caldi dell'emergenza. La strada, imboccata dai magistrati di Bergamo, apre uno scenario ignorato. Tirando dentro il ruolo del governo. Metabolizzata la doccia gelata, lo staff di Palazzo Chigi accenna a una timida difesa, facendo filtrare nella tarda serata di sabato 29 maggio una velina: «Anche la Regione poteva istituire la zona rossa, come previsto dalla legge. L'articolo 32 della legge 23 dicembre 1978 n.833, richiamato anche dall'articolo 3, comma 2 del d.l. n. 6/2020, dà anche alle Regioni la possibilità di istituire la zona rossa», precisa il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia. Ma ora, nelle stanze di Palazzo Chigi, si studia una contromossa. La strategia da seguire nei prossimi giorni per non essere schiacciati dalla galoppata dell'inchiesta. Da parte del capo del governo non c'è alcun commento ufficiale. Conte valuta due mosse: una richiesta ai magistrati per essere ascoltato o un memoriale difensivo (simile a quello fatto per Salvini sul caso Diciotti). Il premier punterà a ricostruire la catena istituzionale che ha spinto il governo nella prima fase non disporre la zona rossa nei comuni della Bassa Valseriana. Ma Casalino e i comunicatori dell'avvocato del popolo temono l'autogol mediatico. Un passo falso rischia di demolire l'immagine (costruita con le dirette notturne) del premier. Ecco, allora si fa largo una terza opzione: mandare avanti i ministri Roberto Speranza (Salute) e Luciana Lamorgese (Interno) nella prima fase. Oggi che rabbia e dolore sono ancora forti per le 16mila vittime. Salvando (ora) il premier dal linciaggio. Dal proprio canto, la Procura non intende rallentare: «La prossima tappa è quella di accertare se vi sia nesso di causalità tra i fatti come ricostruiti e gli eventi e, in caso affermativo, stabilire a chi fanno capo le responsabilità. Si tratta di indagini lunghe e complesse che richiederanno tempo. Vi è da parte della popolazione bergamasca richiesta di giustizia e vi è il dovere nostro di accertare i fatti facendo la massima chiarezza su di essi, la cui valutazione sarà operata con particolare attenzione tenuto conto di tutte le particolarità della delicata situazione».

Intanto, il governatore Fontana, nelle due ore, in Procura ha chiarito che non ci fu alcun rimpallo di responsabilità tra Regione e governo nei giorni in cui, ai primi di marzo, si doveva decidere se creare o meno una zona rossa nella Bergamasca, dopo quella nel Lodigiano, ma ci furono frequenti contatti istituzionali tra la Lombardia, il ministero dell'Interno e l'esecutivo».

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