Roma Neanche il tempo di smaltire la battaglia (sanguinosa ma vinta) sul Jobs Act, che Matteo Renzi parte subito alla carica per la prossima guerra: la riforma Rai. La più a rischio Vietnam, visti gli interessi in ballo e la resistenza di tutti i partiti, ma al premier piace la pugna. Solo che nel lanciarla gli è scappato (volutamente?) il piede dalla frizione, e si è scatenata la rissa. Protagonisti lo stesso Renzi e Maurizio Gasparri, col quale il premier è andato giù pesante e che ha reagito da par suo. Botte da orbi: «La Rai deve diventare un caposaldo dell'identità culturale e educativa del paese. Quindi, va da sé, non può essere regolata da una legge che porta il nome di Gasparri», dice Renzi. Gasparri non incassa: «Sei vero imbecille», twitta. Poi rafforza il concetto: «Ha un padre di cui vergognarsi, è un arrogante, finirà male politicamente». E ancora: «Sei di una abissale ignoranza, privo di basi culturali, solo chiacchiere distintivo e insider trading». E ancora: «In quale loggia massonica di tuo padre ti hanno dettato le presunte norme per scuola e banche?».
Colpi di clava a parte, la partita Rai è solo all'inizio, e la direzione di marcia non è ancora chiara. Di certo c'è che nei prossimi mesi scadrà l'attuale Cda Rai, e che Renzi dice che non vorrebbe assistere allo spettacolo di una nuova lottizzazione cucinata dai partiti in Vigilanza per sostituire i membri uscenti. La governance va ridisegnata. Il tempo però stringe, e ieri il premier ha assai attenuato l'ipotesi di intervenire per decreto: «Se ci fossero le condizioni di necessità e urgenza lo faremmo», dice, ma in molti gli hanno fatto presente che riuscire a convertirlo vincendo le resistenze del partito Rai in Parlamento è impresa improba: remerebbero contro in troppi, dai grillini al centrodestra passando per la Lega e naturalmente per il Pd, dove le correnti con agganci e propaggini a viale Mazzini sono tante, dai veltroniani agli orfiniani ai franceschiniani.
Prima dell'attuale accelerazione la linea che si stava seguendo era quella di nominare a scadenza il nuovo Cda e il nuovo dg in base alle vecchie regole, ma cercando di selezionare personaggi più all'altezza della situazione degli attuali (in particolare dei due lottizzati Pd, Colombo e Tobagi, che hanno sposato tutte le battaglie di resistenza corporativa della Rai contro il governo Renzi), e poi procedere ad una riforma organica, che spazzi via l'attuale incestuoso rapporto Rai-politica e avvicini il costosissimo mastodonte italiano ai modelli europei, Bbc in testa.
Con il dg Gubitosi i contatti sono frequenti, il suo piano di ristrutturazione della giungla informativa Rai è apprezzato («Ma se l'avesse proposto un anno fa e non in extremis sarebbe stato meglio», dicono i renziani), il rapporto col governo è definito «ottimo» ed è chiaro: non ci sarà una riconferma, ma si investirà in altro modo sulle sue capacità manageriali. Il nome più gettonato nelle ipotesi di successione era quello di un guru della tv come Antonio Campo Dall'Orto. Nei prossimi giorni si capirà se Renzi vuole invece tentare il blitzkrieg per cambiare tutto, e subito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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