Ma il premier è un metaverso a scadenza

Se lo guardi da Palazzo Chigi il mare della politica italiana non sembra poi cosi turbolento.

Ma il premier  è un metaverso a scadenza

Se lo guardi da Palazzo Chigi il mare della politica italiana non sembra poi cosi turbolento. Ci sono certo increspature e malumori, ma sono solo rumori di fondo che alla fine non influenzano l'azione di governo. Nessuno ha davvero il coraggio di far saltare il banco. È una «pax draghiana» che nei tumulti della pandemia e di una guerra dai confini ancora incerti offre all'Italia un minimo di stabilità. Draghi è il punto fermo a cui tutti bene o male si sono allineati o rassegnati. Questa condizione di equilibrio non è destinata a durare a lungo. Il governo ha una scadenza naturale, segnata dalle elezioni politiche della prossima primavera. Allora c'è da chiedersi quanto di tutto questo non sia solo un'illusione ottica. È come se la stagione di Draghi come capo del governo rappresenti una sorta di realtà aumentata, un viaggio nel metaverso della politica, dove prima o poi si sarà costretti a uscire, per fare i conti con lo scenario che si muove sotto il «draghismo». È qui che si vede lo smarrimento di chi un giorno si sfiderà per andare a governare. I partiti sono proiettati sui sondaggi settimanali e sul voto. Ogni mossa è proiettata al consenso e ai tentativi di creare nuove coalizioni dopo che le vecchie di fatto sono saltate. Non c'è però un'idea politica forte e neppure un'idea di mondo. Non c'è una visione strategica sul futuro dell'Italia. Ci sono solo manovre tattiche e l'idea che in qualche modo quando si arriverà all'appuntamento elettorale le divisioni e le fratture si aggiusteranno. Il centrodestra è come se avesse abbassato il tasto «pausa» per non affrontare i problemi nati dopo il ritorno di Mattarella al Quirinale. È da allora che i leader hanno smesso di confrontarsi, lanciando ogni tanto solo dei messaggi trasversali. Il rapporto di fiducia tra Salvini e Meloni è una linea piatta. La stessa Lega va su e giù tra responsabilità di governo e vecchie tentazioni. L'idea di un centro con il marchio Draghi sembra un'altra illusione. A sinistra va pure peggio. Letta e Conte ormai faticano a trovare qualcosa di cui parlare, divisi dalla guerra, dalla Nato, dal rapporto con Draghi o con Salvini.

Il «campo largo» si è slabbrato. Letta si ritrova così a dover dare ragione a Renzi: non si può costruire un futuro con i Cinque stelle. È così che il Pd si rinserra nelle sue bandiere: ius soli e legge Zan. È la sua sola zona di conforto.

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