Il premier per salvare le riforme cerca di resuscitare il Nazareno

È partito il lavoro per ricucire con Berlusconi e Forza Italia: Renzi vuole evitare concessioni alla minoranza Pd. Il dialogo non è ancora riaperto, ma si spera nel voto di Verdini e dei suoi

Il premier per salvare le riforme cerca di resuscitare il Nazareno

L e prime prove d'orchestra inizieranno dalla prossima settimana, quando arriveranno al voto finale di Montecitorio le riforme costituzionali.

La suspense non sta tanto nei numeri - la maggioranza alla Camera è ampiamente autosufficiente, anche al netto della corrente «Cara ti amo», come il premier ha ribattezzato la minoranza Pd - quanto nei movimenti all'interno dei partiti. Il primo dato positivo per il governo è che le opposizioni, a cominciare da Forza Italia, rientreranno in Aula e non daranno vita alle sceneggiate alquanto folkloristiche viste nell'ultima tornata di votazioni.

Per Matteo Renzi, come traspare chiaramente anche dall'intervista all' Espresso - piena di segnali amichevoli sia verso il Berlusconi politico sia verso quello imprenditore - una resurrezione anche parziale del Patto del Nazareno sarebbe una manna. Renzi spiega di essere ancora intenzionato a trattare con Berlusconi, che «è il capo del principale partito di opposizione». E si augura «che Forza Italia torni alla ragionevolezza, quelle riforme le abbiamo scritte insieme: come spiegheranno il voto contro?». Quindi apre sull'operazione Rcs-Mondadori e assicura il suo rispetto per le «strategie aziendali di Mediaset» anche sul caso Rai Way. Basterà? A Palazzo Chigi, al momento, non c'è grande ottimismo sul rientro in gioco di Berlusconi, che permetterebbe di chiudere in bellezza la partita dell'Italicum rendendo del tutto innocua la minoranza bersaniana. I canali di comunicazione sono ancora chiusi. Il premier, come sempre, è pronto a giocare su molteplici tavoli: con Grillo sulla Rai (e magari sul premio di lista nella legge elettorale, vecchio cavallo di battaglia grillino); con Raffaele Fitto (magari facendo ballare le presidenze di commissione che la fronda di Fi detiene, con Capezzone e Sisto) e con il «pragmatico» (Renzi dixit) Denis Verdini. Il quale, secondo i boatos di palazzo, sarebbe pronto a muovere i suoi deputati e i suoi senatori a sostegno delle riforme del Nazareno. «Vedrete che già martedì usciranno diversi voti favorevoli da Forza Italia», assicurano i verdiniani. Qualcuno azzarda che sia il primo passo verso la costituzione di gruppi autonomi.

Ma a Palazzo Chigi si continua a sperare che di qui a maggio, quando presumibilmente l'Italicum arriverà al voto definitivo della Camera, il Cavaliere torni a giocare la partita delle riforme. Anche se il clima che si respira tra Procure e intercettazioni regalate ai giornali non piace granché dalle parti del premier: «È ripartita una macchina infernale che rischia di intorbidire le acque», dicono. Senza Berlusconi, bisogna fare i conti con i ricatti e le pressioni della minoranza Pd. Che ora alza la voce sulla riforma del Senato (ma la voterà, a parte qualche «astensione qualificata», si preannuncia in casa bersaniana) ma vuole dar battaglia sull'Italicum. Il punto d'attacco pubblico sono i capilista bloccati, ma l'obiettivo è cambiare la legge elettorale in un punto qualsiasi (magari profittando degli scrutini segreti concessi dalla Boldrini) per fare in modo che torni al Senato e lì, grazie ai franchi tiratori Pd, affondi definitivamente. Allo scopo, la fronda Pd cerca di attirare sui propri emendamenti proprio quei voti di Forza Italia che un tempo erano il suo cruccio: offrono al Cavaliere la possibilità di apparentamento al secondo turno, e persino l'ipotesi di eliminare tout court il ballottaggio.

Il bersaniano Lattuca sta cucinando un emendamento secondo cui se non c'è almeno un partito che supera il 40% il premio di maggioranza salta e resta il riparto proporzionale degli eletti. E pazienza se il doppio turno era la bandiera di Bersani: l'importante è che non possa usarlo Renzi.

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