Roma - «Un cortocircuito micidiale, dal quale rischiamo di non uscire vivi». Un dirigente parlamentare del Pd fotografa così la possibile - e assai prossima - sovrapposizione tra partita delle riforme e partita del Quirinale, in un Parlamento ingovernabile come mai prima: un parlamento nel quale i gruppi parlamentari del partito di Renzi sono stati scelti dai nemici di Renzi, e quelli del centrodestra sono in via di balcanizzazione.
Il rischio di dover scegliere il prossimo inquilino del Colle con queste Camere è ben presente a Matteo Renzi: «Dopo mesi di voti di fiducia e prove di forza, andare al voto segreto sul Quirinale è come aprire la valvola di una pentola a pressione: si scaricherà di tutto in quegli scrutini. È l'unica partita davvero insidiosa per Renzi, che in questo Parlamento non avrà mai i numeri per eleggere una figura alla Pinotti», spiegano nel Pd. Sullo sfondo si stagliano giocatori pericolosi: «È chiaro che personaggi come Draghi da un lato e Prodi dall'altro non andrebbero al Colle per tagliare nastri ma per comandare. E noi potremmo anche fare le valigie», dice un renziano di rango, che ammette che entrambi sono in partita ma nutre la speranza che «si elidano a vicenda». E che si possa ancora ritardare l'addio di Napolitano, accelerando le riforme.
Oggi a Palazzo Chigi è previsto un vertice informale sulla riforma elettorale, con il premier e tutti coloro che stanno seguendo il dossier Italicum (Boschi, Guerini, Finocchiaro, i capigruppo), per fare il punto alla vigilia del martedì fatidico, quello in cui la legge va incardinata in commissione al Senato. Con l'ombra delle dimissioni di Giorgio Napolitano che incombono all'orizzonte. Si attende, con qualche ansia, il responso di Silvio Berlusconi, perché è chiaro a tutti che senza i voti (si spera compatti) di Forza Italia la legge elettorale non vedrà la luce. Sul secondo forno grillino non si fa molto affidamento: «Non possiamo cambiare alleanza, perché con il Cavaliere dobbiamo fare la riforma del Senato», ragiona il senatore Francesco Russo. «Cercare un accordo sulla legge elettorale con Grillo, ammesso sia possibile, significherebbe archiviare le modifiche costituzionali e andare subito al voto».
Il neoministro Paolo Gentiloni legge in positivo i messaggi che arrivano dal Colle: «Napolitano ha chiarito che le sue dimissioni non sono oggetto di discussione, il quando e il come li deciderà lui. Io spero che vada avanti il più possibile, ma la prospettiva che ha aperto è anche un incoraggiamento a fare presto sulle riforme». E la linea resta quella del patto del Nazareno, di cui Napolitano è, in fondo, il terzo contraente: «Non vedo motivi per cui Berlusconi abbia interesse a sfilarsi», dice Gentiloni, «che l'accordo alla luce del sole con M5S sulla Consulta renda possibile una grande alleanza su altro, francamente, non mi pare possibile». Dunque bisogna andare avanti nell'accordo con Berlusconi, sperando che tenga. Garantendo al Cavaliere, in cambio del premio alla lista, la soglia del 5% e un buon numero di capilista bloccati (ieri la Boschi parlava di 100): un combinato disposto che costringerebbe la fronda interna (vedi Fitto, che col premio alla coalizione sarebbe incentivato a fare un partitino del Sud che poi si allea alle proprie condizioni) a restare dentro Fi.
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