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"Il premierato? Non lo vuole nessuno"

Il politologo: «Proposta dell'ex premier simile a quella del Cavaliere del 2005»

"Il premierato? Non lo vuole nessuno"

Sorride: «Ma quando mai».

Professor Giovanni Orsina, avremo presto il sindaco d'Italia vagheggiato da Matteo Renzi?

«Renzi è in debito di ossigeno e si atteggia a padre nobile per cercare spazio, sonda sponde a destra, in definitiva lotta per sopravvivere».

Ma il modello di cui l'ex premier ha parlato nel salotto di Vespa?

«Renzi immagina l'elezione diretta del presidente del Consiglio, collegato ad una coalizione. Tecnicamente, parliamo di premierato nell'ambito del sistema parlamentare».

Auguri.

«Appunto. Renzi disegna una meccanismo di voto a doppio turno, preso a prestito, grossomodo, da Israele che porterebbe ad eliminare i piccoli partiti. È tutto molto curioso: il leader di Italia Viva ha sempre detto di voler spazzare via i partitini. Adesso che pure lui si è rimpicciolito, rieccolo con la vecchia ricetta che dovrebbe portare a una semplificazione del quadro».

Ma non stiamo andando verso la riforma proporzionale?

«Infatti nessuno accoglierà questi suggerimenti».

Orsina, direttore della School of government alla Luiss, allarga le braccia: «Con l'avvento della proporzionale andiamo verso il disastro. Il nostro sistema è debolissimo e ha un disperato bisogno di stabilità. La proporzionale gli darebbe il colpo di grazia».

Ma allora Renzi ha ragione?

«Se ci mettiamo a ragionare sui contenuti, e non sulla guerriglia in corso, allora il ragionamento dell'ex capo del governo ha una sua logica. D'altra parte la proposta riprende il modello renziano dell'Italicum, lanciato nel 2016 e mai realizzato. Di più assomiglia alla riforma tratteggiata da Berlusconi nel 2005 e mai diventata operativa».

La storia delle riforme elettorali è una successione di fallimenti.

«È dall'83, dai tempi della commissione Bozzi, che la politica studia come rafforzare il sistema.

Risultato?

«Siamo deboli, siamo sempre più deboli».

Ma i partiti?

«Hanno perso la loro forza e non si possono rianimare con lezioni di ingegneria costituzionale».

Da dove ripartire?

«La Germania ha partiti forti, oggi meno in verità, che pur fra problemi danno stabilità. La Francia invece ha partiti deboli, ma un assetto istituzionale consolidato: la figura dominante è il presidente della Repubblica che resta in carica cinque anni e con una sorta di effetto trascinamento si porta dietro il Parlamento la cui elezione segue a ruota e il cui orientamento riflette in generale quello dell'Eliseo. Poi ci sono gli squilibri, le rivolte e i gilet gialli, ma in linea generale si sa che Macron andrà avanti per un lustro, con una maggioranza che lo sostiene. E questo è molto importante per chi decide di investire risorse in quel Paese».

In Italia?

«Conte spende tutte le energie o quasi per guadagnare un giorno, una settimana, un mese. In questa situazione ogni tentativo di programmazione è un'utopia. E le riforme, quelle vere, rimangono al palo perché manca il tempo per portarle a compimento e perché nessuno ha la forza per imporle».

Cambierà qualcosa, Renzi o non Renzi?

«Di questo passo la frammentazione avanza inarrestabile».

Ci sarebbe il presidenzialismo.

«Troppo lontano dalla mentalità italiana. Molti lo dipingono come l'anticamera del fascismo e lo accostano, stracciandosi le vesti, a personalità come Sogno, Pacciardi, Gelli».

In conclusione?

«Credo che si andrà verso la proporzionale, temo con una soglia di sbarramento bassa. E un'ulteriore balcanizzazione. Ma è quello che serve per fermare Salvini e il centrodestra».

Matteo Renzi non potrebbe trovare un alleato in Salvini?

«Salvini vorrebbe andare al voto, ma se accettasse un qualche patto, la Meloni si rivolterebbe e i suoi consensi schizzerebbero all'insù.

Mi creda: il sistema dev'essere riformato per la sua debolezza, ma è troppo debole per riformarsi».

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