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Il presidente e quel vocabolario spudorato: così tramonta la lingua della diplomazia

La barriera della comunicazione tradizionale sfondata dal lessico di sopraffazione

Il presidente e quel vocabolario spudorato: così tramonta la lingua della diplomazia

Un tempo la diplomazia parlava francese. Col principale trattato di pace firmato alla conclusione della Grande Guerra nulla sarebbe più stato come prima. Il presidente americano Woodrow Wilson, ovviamente appoggiato dal primo ministro inglese, David Lloyd George, ottenne allora che quell'atto venisse redatto in francese e in inglese, e la lingua francese, negli anni a seguire, sarebbe arretrata ulteriormente, perdendo per sempre una posizione di prestigio che, ancora per tutto l'Ottocento, sembrava inattaccabile. Oggi il francese resiste ancora bene in Europa, insieme al tedesco, anche con la complicità della Brexit (su cui proprio ieri si è trovato il sospirato accordo), ma fuori dell'Unione è tutta un'altra storia. Il povero Macron ci prova a tenere alto il vessillo transalpino, ma intanto l'inglese avanza inarrestabile anche nella sua versione diplomatica. Dovremmo dire, però, postdiplomatica.

A Donald Trump, che ha rotto tutti gli argini quanto a modalità di comunicazione e interazione politica (della sua lingua brutale, grossolana, acciabattata ha dato ampio conto una traduttrice francese, Bérengère Viennot, in un saggio La langue de Trump: Les Arènes, 2019 pubblicato in italiano da Einaudi), è riuscita infatti ora l'impresa di abbattere l'ultimo baluardo di un retaggio politico-comunicativo che sembrava fino a ieri impermeabile a ogni cambiamento. In lui, d'altronde, la politica come spudorata propaganda, agonismo permanente, guerrilla marketing ha trovato l'esecutore perfetto: il leader che punta a sovvertire tutte le regole della comunicazione politica tradizionale agendo secondo una logica bellica, di pura sopraffazione dell'altro e delle sue idee.

Parole apte e convenienti. È la prima parte del titolo (ecco il resto: La lingua della diplomazia fiorentina di metà Quattrocento) di un volume di Andrea Felici, pubblicato nel 2018 dall'Accademia della Crusca, alle prese con una serie di lettere inedite inviate dalla cancelleria di Firenze, fra il 1454 e il 1455 prima e dopo la firma della pace di Lodi (9 aprile 1454) e la nascita della Lega italica (30 agosto 1454) , agli ambasciatori di stanza nei principali Stati della penisola. Non sono né apte né convenienti le parole usate da Trump nella sua missiva a Erdogan.

Con la sua ennesima virata (e bravata) politicamente scorretta anche il rispetto dell'etichetta in fatto di lingua e di stile, con il suo bel patrimonio lessicale l'immarcescibile vocabolario di «rappresentanza» tramandato nei secoli dall'arte diplomatica e dalle sue infiorettate sottigliezze , è andato letteralmente a farsi fottere.

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