Segnatevi la data: 17 giugno. Quel pomeriggio, nell'aula del Senato, la maggioranza sarà chiamata alla conta su un tornante scivoloso: il Mes. Con il rischio di ritrovarsi appesa, per non affondare, a Silvio Berlusconi: Forza Italia, infatti, si è da sempre dichiarata a favore di tutti i generosi strumenti messi a disposizione dall'Unione europea per le economie più disastrate, e da settimane incita il governo ad usarli.
Il 17 giugno Giuseppe Conte sarà in aula a Palazzo Madama per la consueta informativa sul vertice Ue, che si aprirà il giorno successivo. E il Pd sta premendo sul premier perché utilizzi quell'occasione per chiedere al Parlamento un via libera ormai non più procrastinabile sul Mes, mentre sul tavolo del governo si affastellano i dossier irrisolti: riforma della giustizia e questione Autostrade spariscono dall'ordine del giorno del Consiglio dei ministri di oggi; l'accordo sulla data a cui rinviare le elezioni regionali non c'è e il rischio che ogni regione decida per sé può trasformare l'autunno in una via crucis elettorale per il governo. Per non parlare dei pomposi «Stati generali dell'economia» annunciati dal premier senza che ci sia l'ombra di un progetto.
Il ministro Gualtieri avverte il premier che il tempo del traccheggiamento è scaduto: «Il Mes offre una linea di liquidità sulle spese sanitarie dirette e indirette a condizioni estremamente favorevoli, e non ci sono condizionalità, ma solo l'impegno a fare riforme utili per noi», taglia corto.
Conte però ha finora rinviato, spaventato dal rischio di un'implosione dei Cinque stelle, finora assestati sulla linea salviniana «meglio morti che Mes». Il premier sa bene che, se al Senato gli mancassero un po' di grillini e i voti di Fi si rivelassero determinanti, si aprirebbe una crisi politica difficilmente aggirabile. Quindi si stanno freneticamente studiando le contromisure: una risoluzione di maggioranza che dia al governo un ampio mandato a valutare l'utilizzo di «tutti gli strumenti» proposti dalla Commissione, dal futuro Recovery Fund al Sure fino al fatidico Mes («Possibilmente senza citarlo», mettono le mani avanti a Palazzo Chigi), in modo da consentire ai grillini - che pur di restare al governo sono pronti a sacrificare anche i parenti più stretti, figurarsi i giuramenti politici sul Mes - di compiere l'ardita giravolta, dopo mesi di invettive anti-Mes. «Conte vuole la botte piena e la moglie ubriaca: i soldi Ue e i voti M5s», sintetizza un dirigente dem. Per evitare, appunto, che i sì europeisti di Forza Italia diventino necessari a far passare la risoluzione, visto che tra i grillini l'ala dura conta diversi senatori, e che lo stesso Di Maio è terrorizzato dalla campagna che potrebbero scatenare i filo-leghisti alla Dibba contro il «cedimento». «Il Mes è una cazzata ancora peggiore del Ponte di Messina», scolpisce il brillante sottosegretario agli Esteri grillino Manlio De Stefano.
Non a caso ieri sono iniziati gli avvertimenti e le «purghe»: i «probiviri» del partito casaleggiano hanno decretato la sospensione per un mese dei tre europarlamentari (Corrao, Pedicini e D'Amato) che a Strasburgo, mentre il loro gruppo si asteneva, hanno votato contro il pacchetto di aiuti europei per bocciare «la polpetta avvelenata del Mes». I potenziali dissidenti vengono così messi sull'avviso, alla vigilia della resa dei conti in Senato.
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