RomaL' affaire Lupi si sta trasformando in un gran pasticcio per Matteo Renzi, che ieri a tarda sera ha avuto col ministro delle Infrastrutture un teso faccia a faccia per chiedergli «per il bene del governo» di dimettersi. Ma Lupi resiste, fa sapere di non essere intenzionato a dimettersi e sottolinea come non ci sia nulla di penalmente rilevante che lo riguardi. Il che, come ammette anche il braccio destro di Matteo Renzi, Graziano Delrio, è vero: «Lupi non è indagato e non c'è nessun obbligo da parte del ministro».
Ma è lo stesso sottosegretario alla presidenza del Consiglio ad aggiungere che il piano penale non è l'unico argomento di valutazione, e a dar voce a quella che è la speranza dello stesso premier, che da ieri ripete come ci sia «un problema di opportunità politica» grande come una casa da risolvere: «I fatti non sono ancora tutti di nostra conoscenza sottolineava ieri Delrio - ma è chiaro che ci sono implicazioni politiche che sono oggetto di valutazioni, che si stanno facendo e si faranno. Certamente poi la decisione spetta al singolo, e non è nelle nostre disponibilità, ma una valutazione da parte sua credo sia in corso. Dipende da lui». Delrio parla nel tardo pomeriggio alla Camera, dove si tiene la presentazione del suo libro Cambiando l'Italia . Un appuntamento la cui star doveva essere il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che invece prima ritarda e poi dà forfait. «È occupato a fronteggiare alcune emergenze», spiega Delrio. E una delle emergenze è proprio il caso Lupi. Prima a Palazzo Chigi smentiscono il faccia a faccia, ma che i due si sentano durante la giornata è certo. Poi, in serata, l'incontro ha luogo. Con il premier che chiede quel «passo indietro» del ministro che libererebbe il governo dal fuoco incrociato di attacchi che piovono su Palazzo Chigi, e che sono destinati ad intensificarsi. Anche perché, dicono in casa renziana, «è chiaro che nei prossimi giorni il fiume di indiscrezioni dall'inchiesta non può che aumentare e a peggiorare», anche al di là delle responsabilità del ministro.
Il fatto è, sottolineano, che «il premier non ha alcun potere di revoca sui ministri», e dunque Renzi non è in grado, pur auspicandolo, di levarsi di torno Lupi. Che lui non voleva neppure all'inizio, come ministro: ai tempi della formazione del governo Renzi, nella lista di priorità del premier incaricato c'era, ai primi posti, la volontà di sottrarre il pesantissimo dossier dei Lavori Pubblici alle avide mani di Ncd («e di Comunione e Liberazione», dicevano all'epoca i supporter renziani). All'epoca fu Alfano a metterla giù dura: la compagine Ncd nel governo non si doveva toccare (a parte il posto di ministro delle Riforme). Oggi, raccontano a Palazzo Chigi, è proprio Alfano il più scatenato nel premere su Lupi perché si dimetta: tra i due è in corso «una furibonda guerra interna» per il controllo e la strategia futura di Ncd (con Lupi molto più propenso a rinverdire le alleanze di centrodestra, a partire dalle prossime regionali), e questo «sta complicando maledettamente le cose» per Renzi. I suoi ricordano, con una certa preoccupazione, che il ministro Lupi controlla «almeno una dozzina di parlamentari», di cui alcuni preziosi per la maggioranza al Senato: uno scontro dentro il partitino centrista potrebbe far traballare il governo.
All'orizzonte, poi, ci sono le mozioni di sfiducia ad personam presentate dalle opposizioni: per ora non sono state ancora calendarizzate, e prima di aprile difficilmente lo saranno.
Ma una volta che andassero al voto il governo dovrebbe decidere da che parte stare, e Renzi non ha alcuna intenzione di arrivare a quel giorno con il problema di mettere la faccia sulla difesa (o meno) del titolare dei Trasporti. Renzi finora ha taciuto sul caso, lasciando trapelare solo indiscrezioni. Ma i suoi sono convinti che il silenzio sia destinato a durare ancora poco.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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