Il pressing di Usa, Egitto e Qatar. Barghouti chiave per la tregua

Vertice a Ferragosto sulla spinta dei mediatori: "Cessate il fuoco subito, ora basta". La liberazione del leader di Fatah può essere decisiva. Dubbi dell'ala dura di Tel Aviv

Il pressing di Usa, Egitto e Qatar. Barghouti chiave per la tregua
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C'è un nome, che corrisponde a un volto e a un lungo curriculum che ne ha fatto uno dei nemici giurati di Israele, al centro delle trattative per il possibile cessate il fuoco in Medioriente. Dopo mesi di fughe in avanti ma soprattutto di frenate clamorose, il nome chiave per arrivare a una svolta sembra quello di Marwan Barghouti. È uno dei capi palestinesi dell'intifada anni '80, arrestato dalle forze israeliane nel 2002. E la sua liberazione sarebbe la condizione richiesta da Hamas per arrivare a una tregu nell'ambito della mediazione portata avanti da Stati Uniti, Egitto e Qatar. Barghouti, tra i leader di Fatah, l'ala più moderata dei palestinesi, potrebbe anche essere uno dei leader del futuro della Striscia al termine del conflitto. Ma se gli Stati Uniti sembra abbiano dato il benestare alla sua liberazione, Israele lo vede come fumo negli occhi e non sarà facile convincere l'ala più estremista del governo di Tel Aviv ad avvallare l'operazione. Barghouti sta scontando cinque ergastoli in una prigione israeliana per aver preso parte alla pianificazione di tre attacchi terroristici ed ora è tornato al centro della scena.

Il giorno decisivo sarà quello di Ferragosto, quando anche una delegazione israeliana parteciperà ai negoziati dopo l'appello di Stati Uniti, Egitto e Qatar per la ripresa dei colloqui, che in queste ore ha vinto il convinto sostegno di quasi tutto l'Occidente, con l'Unione Europea in prima fila mentre il libano, temendo le azioni di Hezbollah, lancia il suo piano per contenere la tensione. «È giunto il momento di portare immediato sollievo sia alla popolazione di Gaza, che soffre da tempo, sia agli ostaggi e alle loro famiglie. È giunto il momento di concludere l'accordo per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi e dei detenuti», si legge nella dichiarazione firmata dal presidente americano Joe Biden, dal quello egiziano Abdel Fattah Al-Sisi e dall'emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani. «Siamo pronti a presentare una proposta ponte finale in modo da soddisfare le aspettative di tutte le parti», continua la nota, che sembra aver riscosso il favore anche del neo leader di Hamas Sinwar.

Mentre Israele continua a martellare la striscia, un accordo sembra adesso più probabile anche per via della situazione che interessa l'Iran. Dopo le minacce e le promesse di ritorsioni su Israele a seguito dell'uccisione a Teheran del capo politico di Hamas Ismail Haniyeh, le posizioni dell'establishment sarebbero alquanto in contrasto. Il presidente Masoud Pezeshkian e i Guardiani della rivoluzione sarebbero infatti in disaccordo sulla strategia da seguire. Pezeshkian, forte anche del pressing occidentale, sarebbe contrario a un escalation che potrebbe mettere il suo Paese nel mirino internazionale mentre l'ala dura degli Ayatollah non vorrebbe minimamente abbassare la testa di fronte al nemico di sempre con i generali Pasdaran che spingono per un raid su Tel Aviv, anche se con l'obiettivo di colpire basi militari e non civili.

Nel frattempo la Repubblica islamica, tiene far sapere che la Marina del Corpo delle guardie rivoluzionarie dispone già di nuovi missili da crociera dotati di testate altamente esplosive non rilevabili ai radar mentre secondo il Wall Street Journal l'Iran starebbe rilnciando con successo il proprio programma militare. Condizioni ambigue verso il dialogo, con l'incognita Hezbollah che lascia col fiato sospeso in vista di un Ferragosto che potrebbe davvero, finalmente, essere decisivo.

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