È la prova più difficile per il sistema del credito, scelto dal governo come terminale di una delle misure più attese. Ma è anche il giorno della speranza per migliaia di imprese e professionisti che sperano nel prestito garantito dallo Stato, soprattutto quello fino a 25mila euro per affrontare la traversata del deserto dell'epidemia e del lockdown. Già da venerdì le banche possono inserire la richiesta di garanzia statale (sono arrivati i codici necessari a fare partire la procedura) per questa particolare linea di credito, che si innesta nel vecchio Fondo di Garanzia per le Pmi. Oggi è attesa la prova di fuoco.
Il presidente dell'Abi ha voluto rassicurare sui tempi, una delle principali preoccupazioni delle aziende. «Se un piccolo imprenditore porta le carte che il decreto legge impone, in una giornata si ottengono i soldi, sempre che non si rompano i computer o se non ci sono impatti di altro genere», ha spiegato Antonio Patuelli a Tgcom24. Tempi rapidi quindi per i mini prestiti. «Più complicata è la situazione per chi chiede più di 25mila euro: ci sono documenti da fornire, delibere da assumere, e la Sace non ha ancora fornito la piattaforma».
I timori per oggi sono anche di ordine pubblico. Dopo la lettera dei sindacati al ministro dell'Interno Luciana Lamorgese, ieri il segretario generale del sindacato Fabi, Lando Sileoni, ha avvertito che non saranno tollerati «né offese né atti di violenza contro le lavoratrici e i lavoratori nel caso in cui le banche fossero in ritardo nell'erogare credito».
Poi si aprirà il capitolo grandi imprese, destinatarie dei prestiti Sace con garanzia parziale dello stato dal 70 al 90%. Più problematici, come accennato da Patuelli, le procedure.
Ma crescono anche i malumori delle aziende sulle condizioni previste dal decreto liquidità. Tra queste quella che prevede «l'impegno a gestire livelli occupazionali attraverso accordi sindacali».
Spiega l'avvocato Carlo Majer, co-managing partner di Littler in Italia: «Seguendo una interpretazione necessariamente letterale, ciò significa, di fatto, l'impossibilità in capo al datore di lavoro di concludere una procedura di licenziamento collettivo senza accordo sindacale» ma anche «di procedere a licenziamenti individuali per ragioni inerenti all'attività produttiva». Un potere di veto che ha peraltro l'incognita della durata. Possibile, spiega ancora l'avvocato, che l'obbligo duri per tutti i sei mesi della restituzione del debito. Vincolo talmente stringente da convincere molte aziende a desistere dal prestito, aggiunge Mejer.
Possibile che alcune misure vengano modificate durante l'iter di conversione del decreto. Altre misure potrebbero arrivare con il decreto di aprile, destinato a diventare un decreto di maggio.
Prima del prossimo provvedimento con le misure per l'emergenza coronavirus, il governo dovrà approvare contemporaneamente il Def e lo scostamento di bilancio, quindi il deficit necessario a finanziare le prossime misure.
Nel decreto ci saranno le risorse per rifinanziare gli ammortizzatori sociali. Starebbe prendendo quota anche un bonus per colf e badanti rimaste senza lavoro e una sospensione di penali e pagamento di interessi per i tributi comunali pagati in ritardo.
La posta più pesante dei 70 miliardi del decreto sono i 30 miliardi necessari a garantire i prestiti per le imprese. Senza il decreto di aprile, insomma, i prestiti che partono oggi sono garantiti solo in teoria, visto che nelle casse della Sace ci sono fondi sufficienti.
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