
Dopo l'elezione di Robert Francis Prevost a pontefice il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha subito cavalcato l'orgoglio nazionale per il primo papa americano della storia.
Ma nonostante le felicitazioni pubbliche del presidente, il popolo Maga è rimasto gelato dalla nomina. Leone XIV rappresenta l'opposto della base trumpiana: figlio di immigrati, un'importante esperienza missionaria in Perù, sui social ha bacchettato sia il tycoon che il suo numero due JD Vance sulle deportazioni, si è schierato contro la pena di morte, la proliferazione delle armi, e ha simpatizzato con George Floyd, l'afroamericano soffocato brutalmente dalla polizia. I fedelissimi di Trump si sono subito infuriati per il «Papa marxista woke», lamentando che sia «peggio di Francesco», il pontefice morto il mese scorso e noto per i suoi valori progressisti. L'elezione di Leone XIV «è un voto anti-Trump da parte dei globalisti della Curia» e la «scelta peggiore per i cattolici Maga», è la dura reazione di Steve Bannon, ex capo stratega del comandante in capo durante il suo primo mandato alla Casa Bianca.
Una settimana fa Bannon aveva previsto l'elezione del cardinale Prevost, e in un'intervista all'anchorman britannico Piers Morgan lo aveva indicato come «dark horse», un outsider spinto da quei poteri forti che il movimento Maga individua nei cosiddetti «Deep State» e «Deep Church». Mentre l'influencer cospirazionista Laura Loomer, trumpiana di ferro e consigliera super fidata del tycoon, pur non avendo nessun ruolo ufficiale nell'amministrazione, afferma su X: «È anti-Trump, anti-Maga, un woke a favore delle frontiere aperte, un marxista convinto come papa Francesco. I cattolici non hanno nulla di buono da aspettarsi: un'altra marionetta marxista in Vaticano». Pure il magazine conservatore (britannico) The Spectator scrive che «il collegio dei cardinali ha reso ben evidente che Roma non è fan del presidente», chiedendosi nel titolo dell'editoriale se Leone XIV sia parte della resistenza globale a The Donald.
Sui social negli Usa sono molte le accuse e teorie complottiste in linea con le opinioni di Bannon e Loomer. Il conduttore di Newsmax Rob Schmitt ritiene che questo «Papa farebbe meglio a non essere woke», mentre il teorico della cospirazione di estrema destra Mike Cernovich sottolinea: «Scusate, cattolici. Questo nuovo Papa è un globalista a favore delle frontiere aperte, presto spingerà per l'aborto. Non è un'ipotesi. Potete scorrere il suo account X e vedere cosa ha combinato». Il tutto allegando screenshot di Prevost che ritwittava post sul controllo delle armi e sulle deportazioni a El Salvador.
Tra gli alleati di Trump che non sono rimasti delusi dalla scelta, invece, c'è l'influencer Maga Charlie Kirk, il quale si consola con il fatto che a suo dire il papa è repubblicano, avendo votato alle primarie del Grand Old Party in Illinois sia ai tempi di Barack Obama che della prima travolgente ascesa al potere di Trump. I registri elettorali, come sottolinea il Washington Post, confermano che Leone XIV, quando viveva a Chicago, ha espresso la sua preferenza alle primarie Gop del suo Stato nel 2012, 2014 e 2016. Ha votato anche alle elezioni generali, l'ultima delle quali lo scorso novembre, per corrispondenza (l'Illinois non ha un sistema di registrazione dei partiti, ma gli elettori scelgono le primarie del partito a cui votare).
Washington e il Vaticano hanno talvolta trovato un terreno politico comune, e altre hanno visto i loro punti di vista scontrarsi: il presidente Ronald Reagan e Papa Giovanni Paolo II erano ferventi anticomunisti, sebbene fossero in disaccordo sulla proliferazione nucleare. E Reagan fu il primo presidente a stabilire piene relazioni diplomatiche con la Santa Sede.
Giovanni Paolo II criticò invece il sostegno del presidente Bill Clinton al diritto all'aborto e si oppose fermamente all'invasione dell'Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003 sotto la presidenza di George W. Bush. Insomma, la sotria dei rapporti tra l'amministrazione Trump e l'amministrazione Prevost è tutta da scrivere.
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