Il "problema" Mario: diventa già divisivo il premier dell'unità

La sua frase sulla stessa maggioranza a Chigi e al Colle ora diventa un boomerang

Il "problema" Mario: diventa già divisivo il premier dell'unità

Se telefonando. E invece no, niente da fare. Mario Draghi non alza la cornetta, non cura le pubbliche relazioni, non cerca sponde. Non spetta a lui, dicono da Palazzo Chigi, stringere il patto di legislatura che può portarlo al Colle. Non tocca al premier inseguire i leader della maggioranza, spedire il curriculum ai grandi elettori o indicare un possibile sostituto al governo. Insomma, questa è la linea, se mi volete sono qui. Peccato che le forze politiche, prese giustamente un po' a schiaffi nell'ultimo anno e allontanate dalla decisioni importanti sul Covid e i soldi europei, ora si stiano ribellando, con il risultato che SuperMario, amato dai cittadini, dai mercati e dalle Cancellerie occidentali, e diventato divisivo nel Palazzo. «Al Quirinale non si va contro i partiti - spiega Matteo Renzi, che certo non è un anti-Draghi - Lo vedo ancora in corsa, pero serve un'iniziativa politica».

Mario, facci la mossa. Lui però non si muove: non vuole legarsi, diventare di parte o dire grazie a qualcuno, quindi, anche se dopo la rinuncia di Silvio Berlusconi resta ben piazzato, il suo trasloco sul Colle si è complicato assai. Vediamo. Sfumate sembra le prime tre votazioni, perché non è proprio aria di plebiscito, date per interlocutorie la quarta e la quinta quando si sfogheranno i candidati di bandiera, si punta al sesto scrutinio, per il quale basteranno 505 voti. Ma ci sono? Molti i dubbi e le incertezze. Mezzo Pd, Forza Italia, buona parte dei Cinque Stelle, diversi centristi e i tanti peones che temono le elezioni anticipate e di perdere il posto lo vogliono ancorare a Palazzo Chigi. Ci sarebbe bisogno, appunto, di una «iniziativa politica» perché le partite per le due cariche, presidenza della Repubblica e del Consiglio dei ministri, sono strettamente legate. Tanto più in questo momento di doppia emergenza sanitaria ed economica, con il Pnrr da seguire e applicare, l'Italia non può permettersi vuoti di potere.

Così, in silenzio, Draghi fa i suoi conti, cercando di decifrare se la freddezza di Salvini coinvolga tutta la Lega e se i buoni rapporti con Giorgia Meloni, che non porrà veti al suo nome, sia più un vantaggio o un guaio. È stato infatti lo stesso premier un mese fa, durante la conferenza stampa di fine anno, a sollevare il problema della necessità di avere la stessa maggioranza per Quirinale e Palazzo Chigi. «È immaginabile - si chiedeva - che si spacchi sull'elezione del presidente della Repubblica e si ricomponga nel sostegno al governo?». Ecco, poniamo, il sì di Fratelli d'Italia e i no di Lega e Fi cambierebbero parecchio le caratteristiche della maggioranza, con probabili ripercussioni sulla tenuta dell'esecutivo.

Quindi per il momento meglio concentrarsi sul governo e le tante cose da fare: la pandemia, i vaccini, la ripresa economica. Sul Colle Draghi rimane in osservazione distante, ma si augura che da Montecitorio esca in fretta un indirizzo solido capace di evitare il caos e consentire alla legislatura di proseguire, chiunque sarà il premier. Lui da febbraio a oggi ha guidato il Paese senza cercare mediazioni con i partiti, ed e questo che ora sta pagando. Però, dicono nella sua cerchia, il commissariamento è una barzelletta, non è vero che siano mancati ascolto e dialogo, basta pensare alla cabina di regia e agli incontri periodici con i leader e i capigruppo.

E dopo? Il premier, comunque vada a finire, è disposto a restare, alla solita condizione: che non si tratti di un governicchio elettorale, bloccato, ma un governo vero per combattere il Covid e portare a casa i miliardi del Recovery. In sostanza, decido io o arrivederci.

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