Magistratura

Processi a Salvini e riammissioni. Tutte le volte che il magistrato invade il campo

"Un pezzo d'Italia aiuta gli arrivi illegali". L'affondo della premier Giorgia Meloni arriva dopo il caso del tribunale di Catania che ha annullato i trattenimenti di quattro tunisini

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«Un pezzo d'Italia aiuta gli arrivi illegali». L'affondo della premier Giorgia Meloni arriva dopo il caso del tribunale di Catania che ha annullato i trattenimenti di quattro tunisini due dei quali già espulsi in passato ospiti del centro inaugurato a Pozzallo. Ma le frizioni tra governo e toghe quando si parla di migranti sono tante, e precedono l'ultimo caso, come pure la decisione del gip di Siracusa che l'altro giorno ha mandato liberi due bengalesi fermati dopo uno sbarco perché accusati di essere entrambi scafisti.

Ma, appunto, il braccio di ferro sul tema tra potere esecutivo e potere giudiziario va avanti da tempo. E se ieri l'Anm siciliana ha replicato a Meloni «respingendo con sdegno» le accuse della premier alla giudice siciliana, difesa in quanto, spiega l'Anm, «ha lavorato nel rispetto delle leggi», va detto che quel braccio di ferro è in atto soprattutto da quando al governo c'è il centrodestra, oltre che quando al Viminale, nell'esecutivo giallo-verde, sedeva Matteo Salvini.

Proprio il leader della Lega, infatti, ha pagato caro l'aver scelto di imporre sull'immigrazione una linea dura, che per quanto condivisa dal resto dell'esecutivo, ha visto finire nei guai solo lui. L'attuale vicepremier, infatti, è finito indagato quattro volte. Per lo stop allo sbarco della nave Diciotti, nel 2018, Salvini si è visto contestare i reati di sequestro di persona e abuso d'ufficio, fin quando il Senato ha negato l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Salvini si ritrovò poi indagato per sequestro di persona per aver negato lo sbarco dei migranti dalla nave Gregoretti, nell'estate 2019, e stavolta dal Senato arrivò il via libera alla richiesta di autorizzazione a procedere: fu il gup di Catania (a maggio 2021) a chiudere la partita, assolvendo Salvini e affermando che quella decisione era la «legittima conseguenza di insindacabili scelte politiche», e che dunque non costituiva reato. Infine, il caso Open Arms: qui Salvini finisce indagato dai magistrati di Palermo ancora una volta per sequestro di persona e inoltre per omissione di atti d'ufficio. Il Senato concede l'autorizzazione a procedere, e il Gup di Palermo manda l'ex ministro dell'Interno alla sbarra per il processo che è tuttora in corso a Palermo. Salvini, tra l'altro, era stato indagato anche in seguito alla querela per diffamazione presentata da Carola Rackete, capitano della Sea Watch che aveva infranto il divieto di sbarco e che Salvini aveva apostrofato come «sbruffoncella», ma in questo caso il Senato ha detto no all'autorizzazione a procedere. Mentre Rackete, fermata dopo l'entrata «proibita» in porto a Lampedusa, con tanto di speronamento di una motovedetta che le sbarrava la via, era subito tornata in libertà dopo che il gip di Agrigento non aveva convalidato l'arresto.

C'è poi la questione delle «riammissioni informali», ossia il dietro-front imposto ai migranti alle frontiere sulla base di accordi tra governi. Una misura riproposta nel 2018 e poi nel 2020 dai due governi Conte, e molto utilizzata soprattutto nel Nord Est, per frenare gli arrivi di migranti dalla rotta balcanica. L'applicazione era stata di fatto sospesa dopo che, nel 2021, il Tribunale di Roma aveva accolto il ricorso di un migrante pakistano che era stato respinto a Trieste nell'estate 2020 in quanto, di fatto, gli era stato impedito di presentare richiesta di asilo, ma l'arrivo del nuovo governo aveva fatto ricominciare le riammissioni. Così un altro ragazzo pachistano, anche lui respinto alla frontiera e finito in Bosnia, è riuscito a rientrare in Italia dalla rotta balcanica, e pur essendosi visto accogliere la richiesta di asilo ha presentato ricorso alla magistratura contro la sua precedente «riammissione informale». Incassando, a luglio scorso, la sentenza con cui una giudice del tribunale di Roma dà ragione al migrante, bacchettando il Viminale e le autorità di frontiera della «Lampedusa del Nord» (la linea di confine tra Trieste e Gorizia), e bollando la misura delle riammissioni come «antigiuridica e dunque illegittima», in quanto in contrasto con la Costituzione e con le norme internazionali. E nemmeno un mese dopo arriva il bis, con una sentenza che boccia le riammissioni informali anche per gli altri posti di frontiera.

Sono ancora le toghe del tribunale di Roma ad accogliere il ricorso di un minore afghano arrivato a Brindisi a inizio 2023 e reimbarcato per la Grecia e a bocciare questa prassi: per la giudice romana, quando le riammissioni derivino da accordi governativi bilaterali, non possono «introdurre modifiche o derogare alle leggi italiane o alle norme di derivazione europea o internazionale vigenti nell'ordinamento italiano».

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