Processo al renzismo con la caduta di Lotti Via all'epurazione Pd

Giglio magico fuori dalla segreteria di Zingaretti. Il ciclo del rottamatore è chiuso

Processo al renzismo con la caduta di Lotti Via all'epurazione Pd

L a valanga di intercettazioni della Procura di Perugia, nell'inchiesta sul sistema di nomine in magistratura, che sta travolgendo l'ex ministro dello Sport Luca Lotti, è l'atto finale del processo al renzismo. Processo iniziato con le dimissioni di Matteo Renzi da Palazzo Chigi, dopo la sconfitta al referendum nel 2016, e che ora si avvia alla conclusione con la caduta del fedelissimo del rottamatore. E tanto si è conclusa che Zingaretti, che ha nominato la nuova segreteria, ha tagliato fuori tutti i renziani.

Lotti è stata la stella centrale nel firmamento renziano: il braccio operativo, l'anello di congiunzione tra Partito e Istituzioni. Ed è stata anche quella parte di renzismo che ha tentato di sopravvivere con il nuovo corso zingarettiano. Ieri Lotti si è difeso chiarendo di non aver mai tirato in ballo il Quirinale né tantomeno tentato di affossare l'inchiesta Consip: «Alcuni giornali poi utilizzando una frase di Palamara, non mia, provano a raccontare un mio interessamento sulla vicenda Consip. Come si capisce bene leggendo, niente di tutto questo è vero». Per poi minacciare querele: «Su questo, come su altro, in tanti saranno chiamati a risponderne nelle sedi opportune».

Al netto dell'esito giudiziario, il fascicolo di Perugia, in cui risulta indagato per corruzione l'ex presidente Anm Luca Palamara, è la pietra tombale sulla stagione del renzismo. Tra sconfitte elettorali e inchieste, il ciclo politico dell'ex sindaco di Firenze sembra sia arrivato alla fine. La caduta di Lotti, più di Maria Elena Boschi, assesta il colpo finale, e forse definitivo, al renzismo. Le tappe di questo processo sono comprese tra la sconfitta al referendum (4 dicembre 2016) e l'esplosione mediatica dell'inchiesta della Procura di Perugia sulle nomine in magistratura (2019): tre anni hanno segnato il declino di Renzi e del suo giglio magico. Nel mezzo le inchieste Consip e l'arresto dei genitori dell'ex premier. L'uscita di scena di Lotti viene accolta con sollievo anche dai nuovi vertici dei Dem. Anche perché il timore che il gruppo dei renziani volesse riprendere il controllo del Pd è stato sempre forte. Lotti si è autosospeso. Zingaretti ringrazia - «per un gesto non scontato che considero di grande responsabilità nei confronti della politica delle istituzioni e del Pd. Sono consapevole della difficoltà umana di questi giorni, ma ciascuno di noi ha una responsabilità alta nei confronti della comunità di cui facciamo parte e verso il Paese. Penso che questa scelta gli consentirà anche di tutelare al meglio la sua posizione in questa vicenda che deve essere ancora chiarita. Dentro il Pd l'autosospensione non è una scelta di resa o di fuga, ma il diritto a potersi difendere senza che questo coinvolga il Pd». Il segretario mantiene un atteggiamento distaccato, anche se di fatto epura i renziani tagliandoli completamente fuori. Ma c'è chi festeggia sulle spoglie renziane. Da Luigi Zanda a Massimo Cacciari. Mentre l'ex ministro Carlo Calenda si smarca da Lotti: «Il giustizialismo non c'entra nulla. Se ci sono comportamenti politicamente inappropriati, si ha il dovere di tenerne conto». E anche l'ex procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, oggi europarlamentare del Pd, usa toni duri contro Lotti, intervistato da Maria Latella a Sky Tg24: «Rispetto tutti i giudizi, rilevo tuttavia un aspetto generale di commistione impropria tra la politica e la giustizia.

Le conventicole notturne in albergo sono mine allo Stato di diritto. Questi incontri impropri danno segno di degrado morale della magistratura estremamente preoccupante. Bisognerebbe arrivare ad una revisione generale delle coscienze, del senso etico».

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