Cronache

Il processo social a Zaki, tifo juventino scatenato. Il calcio "oscura" i diritti

Reazioni pesanti a un tweet sul pareggio contro il Bologna: "Come potrò dire la mia?"

Il processo social a Zaki, tifo juventino scatenato. Il calcio "oscura" i diritti

Cosa volete che siano ventidue mesi di detenzione nelle carceri egiziane di Al Sisi, passando anche per qualche tortura, in attesa di un processo ancora in svolgimento per minacce alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione, diffusione di false notizie, propaganda terroristica? Da domenica il vero, improrogabile processo a cui è sottoposto Patrik Zaki è quello mediatico suscitato da un suo tweet legato al pareggio in extremis della Juve a Bologna, dopo la doppia espulsione dei rossoblù Soumaoro e Medel. Già, perché in Italia tutti possono stare dalla tua parte se finisci nelle grinfie della «giustizia» egiziana apparentemente senza motivo, ma non ti si perdona niente se ti lasci scappare una battuta fuori luogo al bar dei social. Dove chiunque può scrivere tutto e il contrario di tutto, ma chi è personaggio pubblico e famoso (anche suo malgrado) non può permettersi il minimo passo falso. Anche perché in Italia, si sa, puoi scherzare con i fanti e magari anche con i santi, ma non con la sacralità del calcio.

Sta di fatto che un banale quanto maldestro tweet riferito alla Juve dopo la partita di sabato («Due cartellini rossi, stanno ancora pagando»), ma riconducibile ai trascorsi bianconeri dei tempi di Calciopoli, ha scatenato reazioni pesanti da parte di chi si è sentito colpito nel proprio amor pallonaro. E qualcuno ha addirittura esagerato, rinfacciando al ricercatore egiziano dell'università di Bologna (da cui il tifo per i rossoblù) il fatto che l'Italia si è mobilitata per farlo uscire dal carcere del Cairo. E qualcuno, per restare in tema calcistico, ha pensato addirittura di fare dei paralleli allucinanti, del tipo: «Chissà quanto sei costato alla Farnesina, serviranno più rate che per pagare Locatelli!».

Insomma, caro Zaki, se la prenda pure con il regime egiziano e con i suoi giudici e carcerieri, ma lasci stare il calcio italiano. Anche perché la cosa, oltre che ai tifosi juventini, non è passata inosservata a sociologi e opinionisti che hanno bacchettato il ragazzo, reo di aver comunque accusato la squadra torinese di corruzione e quindi processabile in Italia per diffamazione, come se non gli bastassero i guai col tribunale del Cairo. Ma, se i social in tanti casi sono la versione moderna delle osterie, bisognerebbe anche fare una tara a quello che si legge.

A rendere più seria la situazione, però, ha contribuito lo stesso Zaki che, anziché invitare a riderci sopra come sarebbe logico per gli sfottò che accompagnano il calcio da quando è nato, ha risposto su facebook con un mezzo trattato, in cui rivendica il diritto fondamentale di esprimere la propria opinione su una partita. «Se non posso dire la mia opinione sul calcio senza essere attaccato ha puntualizzato Patrik - non sono sicuro di come dovrei recuperare la mia voce in questioni più importanti». Certo, se il primo a prendersi sul serio è proprio lui, allora ha ragione chi lo accusa di aver diffamato la Juventus in un tweet che avranno scritto, come lui, altre migliaia di tifosi.

Caro Zaki, la prossima volta faccia ironia sul derby d'Egitto tra Al Ahly e Zamalek: le costerà molto meno.

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