Sappiamo tutti dove sia oggi Prodi Romano. Sappiamo anche dove si trovi Napolitano Giorgio. E con loro Dini Lamberto o D'Alema Massimo. Ma dove i suddetti si trovassero, nell'anno millenovecentonovantasette, giorno venerdì ventotto, del mese di marzo, quando un barcone che avrebbe potuto ospitare al massimo 9 persone, venne stracaricato di centoquarantadue migranti albanesi, in fuga da un regime ai limiti della rivoluzione, con la chiusura dello scalo di Tirana e i porti di Durazzo, Valona e Saranda, dove fossero, dunque i vari Prodi, Napolitano, Dini e altri regnanti, pochi lo sanno e rari lo ricordano. L'insieme di legnami fradici detta barca, venne speronato e affondato dalla corvetta Sibilla, nel mare davanti a Otranto.
Lo scafo portava un nome difficile da pronunciarsi: Kater I Rades (Quattro della Rada, motosilurante), il capitano di quell'imbarcazione, rubata al porto di Santi Quaranta, era tale Namik Xhaferi, un uomo, non era tedesco, non era ricco ma un albanese avventuriero e filibustiere che andò contro e oltre il blocco navale e la sua sfida costò la vita a ottantatré persone, donne, uomini, infanti, travolti dal naufragio. Dopo aver ignorato l'alt della fregata Zeffiro, Namik Xhaferi si trovò a fare i conti con la Sibilla che tirò diritto, nel buio della sera. Il capitano albanese finì agli arresti, fu giudicato, condannato a quattro anni, poi ridotti a tre e dieci mesi e infine a tre e sei mesi e così pure passò in tribunale il capitano delle Sibilla, Fabrizio Laudadio, che si beccò la metà degli anni rispetto all'albanese. Prodi Romano era il primo ministro di un governo sicuramente razzista, xenofobo e fascista, che aveva iscritto al ruolo di ministro dell'Interno, ante Salvini natum, Napolitano Giorgio, in seguito nominato capo dello Stato e al foreign office, detto così perchè occupato da Dini Lambertow. Non si sa esattamente che ruolo svolgessero al tempo i vari Del Rio-Orfini-Fratoianni, comunque assenti all'appello di radio e tivvù, come i governanti appena citati, nei giorni successivi al tragico evento.
Non si segnalarono passerelle a bordo, denunce in Parlamento, querele nei confronti dei ministri, raccolta di denari per aiutare il povero Xhaferi. No. Non si ha notizia, negli archivi e nella memoria, di scritte sui muri contro il Prodi o il Napolitano e nemmeno talk show per smascherare colpe. Finì tutto in mare, nella vergogna, nella miseria straziante e straziata di corpi senza vita e di figure che, invece, continuarono il loro impegno xenofobo, fascista e razzista, i porti erano aperti ma fregate e corvette pronte all'arrembaggio e allo speronamento. In verità la difesa del capitano Laudadio precisò che si era trattato di manovra al buio e non di atto delittuoso e doloso.
Era, comunque, un'Italia diversa, erano uomini, quelli al governo del centrosinistra, finalmente duri e puri, l'opposizione provò a fare qualche rumore, la comunità internazionale si agitò lo spazio di un mattino.
Per gli amanti delle commedie all'italiana, riporto, di seguito, una profonda e sentita dichiarazione, all'epoca, del nostro presidente del Consiglio, Prodi Romano: «La sorveglianza dell'immigrazione clandestina, attuata anche in mare, rientra nella doverosa tutela della nostra sicurezza».
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