Coronavirus

"I ritardi sulla zona rossa causarono migliaia di morti"

Consegnato ai pm il documento di 100 pagine sui fatti di Alzano e Nembro: "Criticità su tempi e modi"

I camion militari scortano i feretri di Bergamo fuori città
I camion militari scortano i feretri di Bergamo fuori città

«Quando fu scoperto il paziente Uno positivo al Covid a Codogno, nel febbraio 2020, nell'ospedale di Alzano c'erano già un centinaio di contagiati dal virus». È lo scenario descritto dal microbiologo dell'Università di Padova, Andrea Crisanti, ai giornalisti che lo aspettavano davanti alla Procura di Bergamo, che sta indagando sulla gestione del Covid nella provincia più martoriata dall'epidemia, dove ieri ha consegnato la sua maxi-consulenza che dovrà aiutare i magistrati a chiarire come è stata gestita l'emergenza a livello locale, regionale e nazionale, in relazione alla mancata zona rossa e all'applicazione del piano pandemico nazionale. Un fatto, quello della presenza di circa cento positivi ad Alzano prima della scoperta ufficiale della prima infezione, scoperto paragonando le cartelle cliniche e le analisi successive per rilevare il coronavirus, che consente di retrodatare l'epidemia rispetto al 21 febbraio del 2020.

Dal colloquio con il procuratore Antonio Chiappani, riguardo l'elaborato di una novantina di pagine con circa 10mila pagine di allegati, sono emerse diverse criticità, ora al vaglio dei magistrati. «Non è detto che una criticità sia per forza penalmente rilevante», ha osservato Crisanti. In particolare la perizia ha rilevato che la chiusura tempestiva dell'area per limitare le infezioni avrebbe salvato molte vite. Un range ipotizzato tra le 2mila e le 4mila vittime evitabili.

Per lo scienziato chiamato dalla Procura che indaga sui fatti accaduti due anni fa ad Alzano e Nembro, molte delle scelte fatte in quel periodo furono «prese in buona fede sulla scorta delle conoscenze che si avevano». Ma sarà compito dei pm stabilire se è stato effettivamente così. Quel che è certo è che per Crisanti è stato «umanamente impegnativo avere a che fare con storie personali dolorose». «Ho passato un anno e mezzo a leggere di persone morte, del disastro accaduto qui. Mi sono tenuto alla lettera all'indicazione del procuratore che ha detto il nostro compito è restituire a vittime e parenti la storia di quello che è accaduto"», ha spiegato il professore ai giornalisti. Il modello usato è quello a cui si ricorre nel caso di grandi calamità e catastrofi: in sostanza mira a stabilire quante persone potevano essere salvate se in Val Seriana fosse stata applicata la zona rossa una settimana, dieci giorni prima, come fu deciso per Codogno, Casalpusterlengo e Vò Euganeo.

A Crisanti i familiari delle vittime hanno voluto donare un mazzo di fiori bianco rosso e verde come ringraziamento per il lavoro che ha svolto.

«Riteniamo il deposito una svolta importantissima che potrà fornire le risposte alle tante domande dei familiari delle vittime e dei cittadini italiani in generale», ha commentato l'avvocato Consuelo Locati, legale dei parenti delle vittime.

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