T anto fumo e niente arrosto. L'ex amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni esce immacolato dal procedimento sulle presunte tangenti pagate dalla Saipem per gli appalti in Algeria. Si tratta di una vicenda che ha suscitato grande clamore e ha sporcato l'immagine del cane a sei zampe nel mondo. Ma ora, a sorpresa, Scaroni viene prosciolto, addirittura in udienza preliminare, senza nemmeno doversi difendere in un processo. Chi conosce la giustizia italiana sa che il rinvio a giudizio nei grandi processi per corruzione, storie spesso intricate e complicate, arriva quasi in automatico e l'innocenza emerge semmai in aula. Dopo una sfilza di udienze e testimonianze. Questa volta non ce ne sarà bisogno: il gup Alessandra Clemente, dopo aver pesato le carte, ha stabilito che per quel che riguarda Scaroni gli elementi raccolti dalla procura di Milano sono troppo deboli ed è dunque inutile andare avanti. Stessa situazione per l'ex responsabile per il Nordafrica di Saipem Antonio Vella mentre sono state rinviate a giudizio altre sette persone e la stessa Saipem, per violazione della legge 231, quella sulla responsabilità delle società.
Fino a ieri questa conclusione pareva fantascienza, se non altro per i numeri della storia: una stecca da 198 milioni di dollari per garantire alla Saipem appalti per 8 miliardi nel deserto algerino. Un colpo molto duro per Eni e per la vecchia leadership, poi sostituita in corsa fra scandali e inchieste. Nell'indagine di stampo ambrosiano, era anche emerso che le mazzette erano state versate a esponenti vicini al governo algerino ma una parte sarebbe poi tornata indietro al management di Saipem. E poi, come se non bastasse, i pm avevano puntato sulle solite intercettazioni, in questo caso fra Scaroni e l'allora ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera. In quei dialoghi sembrava ci fosse la prova della responsabilità o almeno della connivenza di Scaroni che al telefono con l'allarmatissimo Passera ammetteva il versamento della stecca.
Inutile avventurarsi in pseudo-spiegazioni che solo il gip potrà fornire. È però evidente che non c'era la pistola fumante e nemmeno gli elementi per andare avanti. Chi si illudeva che bastasse il canonico pacco di brogliacci, spuntati puntualmente come un treno svizzero, si era illuso. E ora converrà riflettere, senza polemiche, sull'impatto devastante che spesso hanno i passi della magistratura. A maggior ragione quando i pm vanno all'attacco di marchi e di imprese che hanno fatto la storia d'Italia e sono il biglietto da visita del nostro Paese nel mondo.
Qualcosa di simile è capitato in altre vicende giudiziarie da copertina e ogni volta il Paese deve fare i conti con il danno all'economia, alle sue eccellenze, alle fortune del Made in Italy. Basta pensare alla vicenda interminabile degli elicotteri Agusta venduti al governo indiano dalla società di Finmeccanica. Anche qui il sospetto ha fatto il giro del mondo e alla fine Nuova Delhi ha bloccato la commessa. Poi la tangente è evaporata e l'ex amministratore delegato di Finmecannica Luigi Orsi è stato assolto dall'accusa più infamante e condanno solo per una contestazione secondaria.
Attenzione: Eni e Finmeccanica sono pilastri del sistema Italia e altrove, senza nulla togliere all'azione della magistratura, si cerca di bilanciare le diverse esigenze per salvaguardare gli interessi strategici.
Polemiche antiche che tornano ad ogni inchiesta senza che si riesca a individuare una soluzione condivisa. Per ora la procura ha perso un round e si prepara, con ogni probabilità, a giocare la carta del ricorso in Cassazione nel tentativo di riaprire la partita. Soddisfatti invece gli avvocati di Scaroni, Alberto Moro Visconti e Enrico De Castiglione: «Eravamo certi dell'innocenza di Scaroni e siamo contenti del fatto che il giudice abbia accolto le nostre richieste».
«Soddisfatta» anche Eni «per il non luogo a procedere. Estranei all'inchiesta». Il processo che ha perso per strada il nome più importante inizierà il 2 dicembre. Ma è difficile che possa tornare in prima pagina.di Stefano Zurlo
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