La protesta di Mosca. L'"asse del male" e la nuova sfida del conflitto globale

L'intesa militare degli ayatollah con la Russia e le mire cinesi. L'attacco mette a nudo la linea di faglia tra democrazie e regimi autoritari

La protesta di Mosca. L'"asse del male" e la nuova sfida del conflitto globale
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Dall'uranio arricchito di Natanz ai droni Al Shahed che martirizzano le città e le trincee dell'Ucraina. Natanz simbolo della minaccia nucleare; i droni degli ayatollah comprati dai russi esempio concreto del sistema di alleanze globali che si contrappongono secondo una linea di faglia precisa: democrazie liberali da una parte, autocrazie dall'altra.

Nel gennaio di quest'anno Mosca e Teheran si sono legati con una partnership strategica e militare. Non è un trattato vero e proprio: l'Iran è troppo povero e arretrato perchè i russi si sentissero di assumere obblighi eccessivamente stringenti. Piuttosto la conferma di un'alleanza che dal febbraio 2022 marcia a passi spediti. Se si aggiunge la Corea del Nord, che di armi nucleari ne ha già una cinquantina (comprese alcune testate cosiddette «tattiche» di ridotte dimensioni) e che in Ucraina manda i soldati, si ha un primo quadro dell'«asse del male» saldatosi negli anni più recenti. Dietro le quinte si muove Pechino che ragiona con un'ottica di lungo periodo e ha fissato i suoi obiettivi in un documento «Sogno cinese-2050», approvato nel 2017 con obiettivi più che trentennali.

A sintetizzare la reazione delle autocrazie all'attacco israeliano di ieri è la risposta del Ministero degli Esteri moscovita, che non avrebbe potuto essere più eloquente: «Condanniamo fermamente l'azione militare dello Stato di Israele, in violazione della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale... attacchi militari immotivati contro uno Stato membro sovrano delle Nazioni Unite, i suoi cittadini, le sue città pacifiche e addormentate, le sue infrastrutture nucleari sono categoricamente inaccettabili. La comunità internazionale non può permettersi di rimanere indifferente a tali atrocità».

Per il Cremlino il rapporto con Teheran si inserisce in una precisa visione del mondo nei prossimi decenni. Se ne è avuta un'eco nella conferenza internazionale «Russia for future» svoltasi pochi giorni fa a Mosca (tra i tanti ospiti di mezzo mondo c'era anche il papà di Elon Musk). Il documento programmatico voluto dall'organizzatore, l'oligarca Konstantin Malofejev, capofila dell'area più «nazionale» ed estremista del potere ex sovietico, disegnava così i termini del confronto geopolitico: «La ragione principale di ciò che sta accadendo nel mondo è la crisi fondamentale del liberalismo, che ha condotto l'umanità in un vicolo cieco dello sviluppo ideologico, culturale scientifico, tecnologico ed economico», provocando una inarrestabile perdita di valori. «L'ideologia liberale e la democrazia occidentale si sono esaurite» e con loro «l'era del liberal-globalismo e dell'unipolarismo» che stanno per essere sostituite da un nuovo «concerto di grandi potenze, un'epoca di feroce rivalità tra gli imperi del XXI secolo». Russia e Cina sono i colossi che si contrappongono all'Occidente della decadenza con i loro valori di nazionalismo e autoritarismo. Ma da questo punto di vista il mondo islamico con la «sua posizione tradizionalista e anti-liberale» è un naturale compagno di strada.

È questo il mondo visto da Putin, ma con qualche modifica non tale da incidere sul sistema delle alleanze, è anche il mondo degli ayatollah. La consonanza è tale da lasciare spazio in queste ore a qualche personaggio folcloristico come il vice direttore generale della sezione politico-militare del Ministero della Difesa russa, Apti Alaudinov, che è anche capo delle forze speciali cecene: «la terza guerra mondiale è iniziata e ha fatto segnare una svolta». Israele, gli Stati Uniti e l'Europa sono «una sola banda criminale». E La Russia per non fare la fine dell'Iran «deve dichiarare una mobilitazione di massa per almeno 500.000 persone, preferibilmente un milione».

Toni e sostanza diversi arrivano dalla stampa ufficiale controllata dal Cremlino che ieri ha commentato gli attacchi israeliani con accenti neutrali o di moderata condanna, ma senza nascondere almeno un paio di elementi di soddisfazione. Il primo: la crisi mediorientale potrebbe togliere centralità all'aiuto all'Ucraina da parte dell'Occidente. Il secondo, ancora più sostanziale: l'aumento del prezzo del petrolio fa respirare le esauste casse della Federazione russa. Un terzo del bilancio statale, ormai per il 40% circa dedicato alle spese militari, arriva ancora dalle vendite di petrolio.

Sottoposta alle sanzioni e un tetto massimo di prezzo, Mosca deve piazzare i suoi prodotti con uno sconto rilevante sui mercati internazionali. Ora l'impennata delle quotazioni farà arrivare nuove risorse. E per l'Occidente non è una buona notizia.

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