Alla fine Carles Puigdemont ha lasciato la sua tana. Dopo 80 giorni a Bruxelles, dove ha trovato riparo in fuga da Barcellona, il presidente sospeso è volato a Copenaghen. Così come aveva promesso. O minacciato, a seconda dei punti di vista. Nonostante il rischio di far scattare un nuovo mandato d'arresto europeo da parte della Spagna, nonostante gli ultimi avvertimenti di Mariano Rajoy che l'altro giorno assicurava: «Non è ammissibile che una persona che vive fuori dalla Spagna possa presiedere la Generalitat, ottenere l'investitura senza presentarsi in Parlamento, sottrarsi al controllo cui deve essere sottoposto in Parlamento». Il leader del movimento indipendentista catalano ha preso il volo per la Danimarca dove era stato invitato a una conferenza all'università. Ieri mattina, puntuale come un orologio svizzero, è atterrato in suolo danese. Giornalisti e fotografi addosso. La Spagna che seguiva da lontano le sue mosse. Lui ha fatto il suo show: «Non abbiamo intenzione di capitolare davanti all'autoritarismo, nonostante le minacce di Madrid, formeremo presto un nuovo governo», ha proclamato Puigdemont. La procura spagnola aveva chiesto al giudice del Tribunale Supremo Pablo Llarena di riattivare il mandato d'arresto europeo contro il leader ribelle. L'euro-ordine era stato ritirato in dicembre per il rischio che il Belgio negasse l'estradizione di Puigdemont. Llarena ha però respinto la richiesta. Spagna di nuovo nel caos.
Il Segretario di Stato per i Rapporti con il Parlamento, Josè Luis Ayllòn, ha invitato il Presidente del Parlamento della Catalogna, Roger Torrent, a riconsiderare la sua decisione di proporre come candidato per l'investitura Carles Puigdemont, capo della lista dei Junts per Catalunya. Ayllòn ha avvertito «in modo tondo e chiaro» Torrent che Puigdemont non può essere un candidato perché il regolamento non consente «un'investitura telematica, né per delega». Oltre a proporre il presidente della Generalitat per l'investitura, Torrent ha inviato una lettera al primo ministro, Mariano Rajoy, per indire una riunione in cui affrontare la situazione «anomala» della camera regionale. Entro la fine del mese, il parlamento catalano terrà una sessione di investitura in cui discuterà la candidatura a distanza di Puigdemont. E lui rilancia e rilancia. «La metà degli Stati membri dell'Unione europea sono nati negli ultimi cento anni grazie al principio di autodeterminazione, è tempo che l'Ue segua l'esempio danese e riconosca il diritto democratico all'autodeterminazione», ha detto. «Spero che un giorno, la volontà del nostro popolo prevalga e che saremo in grado di creare con successo un nuovo stato», ha detto Puigdemont di fronte a numerosi studenti e giornalisti accorsi ad ascoltarlo all'università di Copenaghen. Sono passati i mesi, il leader ribelle ha oltrepassato ogni limite, ha tirato la corda, è fuggito all'estero per scampare all'arresto, la sorte che invece è toccata ai suoi. Il premier spagnolo fa la voce grossa.
Rajoy ha anche minacciato di prolungare il commissariamento della Catalogna se Puigdemont sarà eletto in esilio. Il leader indipendentista, che se sarà investito dovrà formare il nuovo governo catalano, ha detto di ritenere di «poter governare da Bruxelles, ma non dal carcere». È lui, in fin dei conti a tenere ancora il pallino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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