Gli scheletri delle tre torri che troneggiavano sul lungomare sud sono stati da tempo spazzati via dalla dinamite in una torrida primavera barese così come ordinato dall'allora sindaco pd Michele Emiliano, oggi governatore della Puglia. Ma la storia di Punta Perotti è tutt'altro che chiusa. Almeno così è con riferimento alla vicenda giudiziaria, ormai approdata al di là dei confini nazionali a causa di un paradosso giuridico che rischia di danneggiare le casse pubbliche. L'ultimo capitolo è stato scritto dalla Corte europea per i diritti dell'uomo, che ha (nuovamente) condannato lo Stato italiano stabilendo con una sentenza non appellabile che non si sarebbe dovuto procedere con la confisca dei suoli in mancanza di una condanna per il semplice motivo che ciò si traduce in una violazione del diritto al rispetto della proprietà privata. È stato quindi accolto il ricorso della società Giem, proprietaria di alcuni terreni e mai coinvolta in alcun procedimento sulla lottizzazione, impresa che in quell'area non ha toccato nulla di nulla: in poche parole perse i fondi senza aver neanche costruito e soprattutto senza aver mai subìto un processo. Ma la sentenza non è piaciuta al ministro dell'Interno Matteo Salvini: «La Corte di Strasburgo condanna l'Italia e difende gli eco-mostri e la cementificazione selvaggia? Ennesima prova del fatto che certe istituzioni dovrebbero essere chiuse», il suo lapidario commento.
E così, a distanza di 23 anni dalla prima pietra, il fantasma di Punta Perotti continua ad aleggiare sull'orizzonte di una città che dodici anni fa, durante i tre giorni della demolizione, si trasformò nel palcoscenico di una festa collettiva a cielo aperto organizzata da sinistra e associazioni ambientaliste: per l'occasione giunse da queste parti anche la troupe della Bbc e in tanti decisero di noleggiare una barca o appollaiarsi sulle eleganti balconate dei circoli più esclusivi affacciati sul mare in modo da godere di una visuale migliore tra un aperitivo e l'altro mentre l'esplosivo riduceva in polvere e macerie quei trecentomila metri cubi di cemento e liberava l'orizzonte.
Adesso, però, passata da un bel pezzo la festa, prende sempre maggiore consistenza il rischio concreto che gli italiani debbano mettere mano al portafogli anche se la confisca dei suoli è stata revocata nel 2010. Strasburgo non si è espressa sul risarcimento da accordare alla Giem, ma è solo questione di tempo: i giudici hanno concesso tre mesi di tempo a Stato e ricorrente per trovare un accordo e nel caso in cui non dovesse esserci alcuna intesa, come del resto avvenuto in passato, deciderà la Corte. A quel punto il governo italiano potrebbe scegliere di rivalersi sul Comune di Bari.
In realtà il pasticcio giuridico di Punta Perotti ha già prodotto un'altra condanna da parte dell'Europa. Sempre la Corte dei diritti dell'uomo il 10 maggio del 2012 ha accolto il ricorso presentato da Sud Fondi, Mabar e Iema, le società che intendevano realizzare il complesso edilizio. I costruttori sono stati infatti tutti assolti con sentenza definitiva del 2001, ma hanno comunque subito la confisca. E per questo hanno chiesto a Strasburgo un risarcimento da 570 milioni di euro. I giudici hanno accolto la linea degli imprenditori e visto che non è stata trovata un accordo sui danni, ha condannato lo Stato italiano al pagamento di 49 milioni. La cosa non è finita lì.
Perché Palazzo Chigi ha pensato bene di esercitare il diritto di rivalsa e l'anno scorso ha inviato una nota al Comune di Bari, che rilasciò le autorizzazioni, chiedendo di versare l'importo e concedendo la possibilità di saldare a rate. La proposta non è stata gradita dalla giunta, che ha risposto facendo causa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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