Consolidare la Russia, ma progettare un'ordine mondiale più condiviso. Sono le parole d'ordine del «Putin 4.0», il Putin che dopo 18 anni al Cremlino supera per longevità politica persino un Leonid Breznev ricordato come il simbolo dell'immobilismo sovietico. A differenza della mummia del Pcus Vladimir Putin non intende però spingere il Paese alla tomba. «Il mio dovere e l'obbiettivo della mia vita è fare tutto il possibile per il presente e per il futuro della Russia» ricordava ieri giurando davanti a 6mila invitati riuniti al Cremlino. Il quarto mandato ha come priorità il consolidamento e la progettazione in vista del 2024 quando l'allora 71enne Putin non potrà più, salvo modifiche costituzionali, inseguire un terzo mandato. In questa cornice l'obiettivo più urgente è la stabilizzazione di un'economia colpita dalla caduta dei prezzi del petrolio e dalle sanzioni di Stati Uniti ed Europa. Per capirlo basta il dato sulla contrazione del potere d'acquisto dei salari medi precipitati dagli 863 dollari del 2013 ai 553 dollari di oggi.
«D'ora in poi useremo tutte le risorse a disposizione per la risoluzione della missione più essenziale e importante ovvero lo sviluppo» ha promesso ieri Putin. Una promessa che rispecchia il paradosso di un Paese dove - stando al Levada Center, autorevole centro di ricerca indipendente - il tasso d'approvazione per il presidente resta stabile all'80 per cento, ma dove il 41 per cento dei cittadini pretende azioni radicali per veder garantito il proprio benessere. Il rilancio dell'economia - anche in presenza di una risalita dei prezzi del greggio - è destinato però a rivelarsi una corsa in salita se resteranno in vigore delle sanzioni progettate per limitare gli scambi con l'Occidente e l'accesso a tecnologie indispensabili per lo sviluppo. Ecco perché il consolidamento passa inevitabilmente attraverso una normalizzazione dei rapporti con Usa e Ue dopo sei anni di confronto duro e determinato su questioni strategiche come l'Ucraina e la Siria.
Una normalizzazione essenziale anche per arginare delle spese militari insostenibili in una fase in cui l'obbiettivo non è più il rilancio della potenza russa, ma il rilancio delle condizioni di vita dei cittadini. Per questo il «Putin 4.0» non punta più a proporsi come l'architetto d'un ordine mondiale alternativo a quello occidentale ma, piuttosto, come il partner indispensabile per la definizione d'un ordine mondiale sostenibile e condiviso. Un grande mediatore indispensabile per ritrovare il bandolo della matassa in tutte quelle complesse questioni internazionali che Stati Uniti ed Europa si sono ripetutamente dimostrati incapaci di risolvere. Proprio per questo tra i primi impegni del quarto mandato vi sono la ricerca di un negoziato più esteso per la pacificazione della Siria e un dialogo con l'Iran capace di mantenere in vita il negoziato sul nucleare. Ma squadra che vince non si cambia. E allora lo Zar - seppur mediatore - ben difficilmente si priverà degli uomini che l'hanno accompagnato in questi ultimi sei anni.
Per questo accanto al confermato premier Dmitry Medvedev continueremo a vedere il ministro della difesa Sergei Shoigua, artefice della radicale trasformazione delle forze armate russe, l'instancabile ministro degli esteri Sergej Lavrov e la discreta signora Elvira Nabiullina l'economista a cui è affidata dal 2013 la non facile gestione della Banca Centrale. Anche perché da quella squadra dovrà saltar fuori il leader chiamato a governare il dopo Putin.
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