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Putin annienta Navalny. Legge sugli "estremisti"

Esclusi gli oppositori dalle elezioni. Mosca sospettata di aver hackerato il colosso Jbs

Putin annienta Navalny. Legge sugli "estremisti"

A due settimane dal previsto primo vertice tra il presidente americano Joe Biden e quello russo Vladimir Putin, il clima tra le due grandi potenze rivali non accenna a volgere al sereno. Dopo aver incassato la qualifica di killer da Biden, a proposito del trattamento inflitto al capo dell'opposizione «indesiderata» Aleksey Navalny, Putin ha fatto e sta facendo di tutto incluso l'aperto sostegno al dittatore bielorusso Aleksandr Lukashenko dedito alla pirateria aerea nei cieli europei - per far intendere alla Casa Bianca che i suoi metodi liberticidi non cambieranno neppure sotto la minaccia di sanzioni. In vista delle legislative del prossimo settembre in Russia, in particolare, il capo del Cremlino accentua la persecuzione verso chiunque osi sfidarlo, approvando leggi che riducono quelle elezioni a una parodia della democrazia cui siamo abituati in Occidente. E si moltiplicano al tempo stesso gli episodi di cyberattacchi di origine russa ai danni di gruppi economici statunitensi: la guerra fredda con i mezzi subdoli delle nuove tecnologie.

Se martedì scorso Putin aveva inviato un chiaro messaggio facendo arrestare l'oppositore Andrei Pivovarov a bordo di un aereo che era già in partenza dallo scalo di San Pietroburgo, ieri ha fatto completare l'opera con l'approvazione in Senato di una legge confezionata su misura per impedire al variegato mondo politico che fa riferimento a Navalny di candidarsi alle elezioni. La morsa sull'opposizione non addomesticata si fa dunque sempre più stretta in Russia: Pivovarov sconterà due mesi nel carcere di Krasnodar nonostante avesse per tempo fatto sciogliere il suo movimento Open Russia accusato di «indesiderabilità» in base a disinvolte leggi, mentre Navalny dovrà seguire dal penitenziario di Pokrov lo svolgimento di elezioni cui né lui né i suoi sostenitori saranno ammessi a partecipare in quanto «estremisti». A questo ormai è ridotta la democrazia che trent'anni fa, alla caduta dell'Unione Sovietica, Boris Eltsin aveva promesso di restituire al popolo russo.

Contemporaneamente, giungono alla Russia dagli Stati Uniti accuse di corresponsabilità in un nuovo blitz di hacker ai danni di una grande azienda americana. Un attacco cosiddetto «ransomware», che colpisce i sistemi informatici delle imprese e le costringe al blocco delle attività pretendendo un riscatto, ha paralizzato buona parte della produzione negli impianti negli Stati Uniti e in altri Paesi del colosso Jbs, il maggior produttore di carne al mondo. La paralisi è stata breve, ma le sue conseguenze saranno in ultima analisi pagate dai consumatori con un significativo aumento dei prezzi all'ingrosso. Soprattutto, quanto accaduto alla Jbs costringe a riflettere sulla vulnerabilità del sistema economico americano: l'attacco hacker che la portavoce della Casa Bianca ha attribuito «a un'organizzazione criminale con sede probabilmente in Russia» ha fermato tutti gli stabilimenti di produzione di carne bovina negli Usa (un quarto delle forniture nazionali) e costretto allo stop delle macellazioni in tutta la rete australiana dell'azienda e in parte di quella canadese.

Il caso Jbs segue quello recentissimo di cui era stata vittima la compagnia petrolifera Colonial Pipeline, che trasporta negli Usa milioni di barili di carburante al giorno dai giacimenti del golfo del Messico. Anche in quell'occasione i consumatori ci rimisero con un aumento dei prezzi alla pompa e partirono accuse dirette a Mosca, smentite come quelle di ieri.

Biden ha già chiesto che Putin discuta con lui della scottante questione.

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