Siamo di fronte a una prova di disgelo o alla solita esercitazione retorica? Alcune dichiarazioni rilasciate a Vladivostok da Putin, reduce dalla partecipazione alla grande parata militare di Pechino dove avrebbe avuto alcuni seri contrasti con l'alleato presidente cinese Xi, hanno messo in agitazione le cancellerie di mezzo mondo. Da un lato, il leader russo ha infatti annunciato di avere discusso con Obama della formazione di una grande coalizione contro il terrorismo islamico, che dovrebbe coinvolgere anche altri Paesi della regione e ha fatto sapere che il presidente siriano Assad è pronto a indire elezioni e a coinvolgere l'opposizione «sana» (cioè non formata da estremisti islamici) nel governo del Paese. Dall'altro, ha definito «prematura» una partecipazione della Russia alla battaglia contro l'Isis guidata attualmente dagli americani («Abbiamo altre opzioni») e ha addossato all'Occidente, e in particolare alla sua volontà di imporre il proprio sistema politico a tutti «senza tenere conto delle caratteristiche storiche, religiose, nazionali e culturali», la responsabilità del caos in Medio Oriente, problema dei profughi compreso.
Le aperture di Putin seguono di sole 24 ore rivelazioni della stampa britannica, secondo la quale truppe russe, equipaggiate con i modernissimi blindati BTR82AAPC, sarebbero già impegnate al fianco di Assad nella difesa di Damasco e un grosso cargo carico di materiale bellico, presumibilmente diretto alla base siriana di Tartous, avrebbe attraversato nei giorni scorsi il Bosforo. In sostanza, sembrerebbe che Putin, nonostante la crisi ucraina, sia disposto a partecipare attivamente alla battaglia contro il Califfato, magari mettendo a disposizione quelle truppe di terra che nessun governo occidentale è disposto a dispiegare nella regione, in cambio di un salvataggio del suo «protetto» Assad. È dubbio che Usa e Ue possano accettare una collaborazione russa in questi termini, ma il tono distensivo dell'intervento di Putin, l'accenno a un contatto diretto con Obama e la relativa tenuta della tregua in Ucraina potrebbero effettivamente preludere a una diminuzione della tensione tra Mosca e l'Occidente. Entrambe le parti hanno interesse a evitare che la «guerra fredda» oggi in corso - costellata di continue provocazioni militari - degeneri ulteriormente.
I russi sentono ogni giorno di più il morso delle sanzioni e si stanno rendendo conto che l'alleanza con la Cina, battezzata in pompa magna nel maggio 2014 con un accordo sulla vendita di 400 miliardi di dollari di gas russo alla Cina, la costruzione di una serie di gasdotti e l'impegno di raddoppiare gli scambi commerciali, è rimasta vittima della crisi economica e perciò non serve a compensare il peggioramento dei rapporti con l'Europa. Gli occidentali, dal canto loro, sono sempre più perplessi dei comportamenti dell'Ucraina, dove nei giorni scorsi i nazionalisti hanno inscenato una mezza rivoluzione per bloccare una legge che avrebbe concesso alle province di Donetsk e Lugansk l'autonomia prevista dagli accordi di Minsk (e che comunque è inferiore a quella che hanno già). Soprattutto nella Ue, le pressioni per una sospensione, o almeno una progressiva attenuazione, della guerra delle sanzioni, che fa male a entrambe le parti in causa, si stanno facendo più intense. Qualcosa, comunque, sta bollendo in pentola.
Una attiva partecipazione russa alla guerra contro l'Isis, che al momento non sta facendo progressi e rischia di trascinarsi per anni, sarebbe ovviamente benvenuta. Putin, se le dichiarazioni di Vladivostock hanno un senso, sarebbe pronto a darla, ma a un prezzo: e su questo, se tutto non si ridurrà a un bluff, bisognerà mettersi d'accordo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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