Politica estera

Putin come Stalin sacrifica il suo popolo

Putin come Stalin sacrifica il suo popolo

Fateci caso. I sostenitori della causa putiniana, quando vogliono ricordare i grandi meriti della letteratura russa che a loro giudizio tutto giustifica, vanno sempre indietro nel tempo di oltre un secolo. Citano giganti come Dostoevskij, Tolstoj, Cechov, Gogol. Glissano volentieri su meno remoti trombettieri del regime sovietico come Gorkij o Majakovskij. Scordano perseguitati del passato, come Pasternak o Cvetaeva, o del presente, come Svetlana Aleksievic. Soprattutto, dimenticano intenzionalmente i grandi testimoni dei lager e degli ospedali psichiatrici per dissidenti, come Grossman, Bukovskij e Solgenitsyn.

Non si tratta di vuoti di memoria. Adesso che la distorta e anacronistica idea di «grande Russia» è tornata di moda al Cremlino, chi la apprezza preferisce sorvolare sulla sempre più visibile somiglianza tra l'originale di Stalin e la versione 2.0 di Putin: potrebbe essere imbarazzante perfino per chi non si vergogna di schierarsi con chi, nell'Europa del XXI secolo, rade al suolo città, massacra civili, sequestra minorenni ucraini per «russificarli». Eppure, passo dopo passo, quella equiparazione ha sempre più senso.

Lo si vede soprattutto nella condotta della guerra in cui Putin si è impelagato, trascinando con sé il suo popolo asservito. In crescente difficoltà per la penuria di armamenti adeguati (le sanzioni occidentali mordono), il dittatore di oggi è costretto a imitare quello dell'altro ieri. Ed ecco ricomparire, come in queste sanguinose giornate a Soledar, la tattica staliniana delle ondate umane gettate all'assalto delle posizioni nemiche, senza preoccuparsi delle perdite ingenti: tanto, in Russia, quasi nessuno osa protestare. Già negli anni Cinquanta Vassily Grossman scriveva che la vera rivoluzione nel suo Paese sarebbe venuta quando il popolo avesse finalmente rinunciato alla sua anima schiava: ma settant'anni sono trascorsi invano. Per compensare quelle perdite, è già alle viste una nuova mobilitazione di mezzo milione di disgraziati con l'obiettivo finale a sentire le fonti ucraine di mettere in divisa addirittura due milioni di uomini per le guerre ottocentesche dello «zar». Altro tratto staliniano è il progetto di sfruttare a fondo i quattrocentomila detenuti dei penitenziari russi: chi ama il rischio può arruolarsi come carne da cannone nell'Orchestra Wagner dell'altro criminale Evgeny Prigozhin, gli altri verranno messi al lavoro per produrre armi, uniformi e quant'altro. È il ritorno dell'Arcipelago Gulag, dello Stato cinico spremitore di uomini disanimati descritto magistralmente da Aleksandr Solgenitsyn e così volentieri dimenticato dagli innamorati, anche italiani, dell'uomo del Cremlino che sogna di ricostruire un impero.

Ma che probabilmente in Ucraina otterrà solo un finale alla coreana, con una guerra congelata sine die e la Nato ben più armata di prima ai suoi confini.

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