Non sarebbe stata una consolazione. Tenere tra le dita quei fogli protocollo ormai ingialliti e sbiaditi dal tempo, non avrebbe levigato la sofferenza che aliena la vita di un genitore quando un figlio muore. Ma quell'istinto umano di chi resta, di aggrapparsi ai frammenti di affetto e alle tracce materiali di un'esistenza interrotta, aveva spinto la mamma e il papà di Enrico Negri a voler riportare a casa il brillante tema di maturità del loro unico figlio, riposto in uno scatolone sigillato all'interno del Liceo classico «Jacopo Stellini» di Udine. Mai avrebbero pensato che per ottenerne una semplice copia, si sarebbero imbattuti in un mostro burocratico di nome «accesso agli atti», che avrebbe sbarrato loro la strada con un muro di silenzi e rimpalli di responsabilità.
Era il 2010. Quegli occhi neri e intensi, con la passione per la letteratura, riflettevano il sogno di una laurea in giurisprudenza dopo il diploma. Si sarebbero, invece, chiusi per sempre appena quattro anni dopo, in un maledetto giorno di maggio e in un unico, estremo, gesto per farla finita ad appena 22 anni. «Chiusi nel dolore», stretti un groviglio di domande e sensi di colpa, Giorgio Negri e Orietta Landi speravano di poter recuperare quello scritto di «incommensurabile valore affettivo».
Chissà, se scavando tra le parole, avrebbero, almeno adesso, intercettato l'ombra che tormentava quell'anima sensibile e inquieta. Così a febbraio, hanno recapitato via mail la loro istanza all'istituto. Ma la speranza nel buon senso che regola i rapporti tra scuola e genitori lascia ben presto il posto alla doppia velocità della burocrazia all'italiana, tanto aggirabile per interesse quanto insuperabile davanti al lutto di una madre e un padre.
Passano mesi e dallo Stellini nessuna risposta. Non si arrendono, Giorgio e Orietta. Sollecitano, scrivono. Si rivolgono all'assessore provinciale, a quello regionale, pure al ministero dell'Istruzione, da ultimo al nostro Giornale, con un appello disperato. Nulla. Nessuno, si è premurato di avvisarli che il dirigente scolastico, Giuseppe Santoro, nel frattempo a quella richiesta aveva risposto eccome. Ma picche, negando l'accesso, secondo la formula magica «ex lege». Colpito dal risalto mediatico della vicenda, dal suo studio il preside tiene a blindare la buona reputazione del suo Liceo, chiarisce di essere «rimasto molto colpito da quella tragedia», ma respinge le accuse di disinteresse e chiarisce che «non è questione di umanità, ci mancherebbe, anch'io sono padre». Le ragioni affettive, ricostruisce, non costituivano, secondo la normativa, motivazione per aprire lo scatolone chiuso con la ceralacca. Lo sono, solitamente, «solo i contenziosi. Non mi era mai capitato un caso simile. Ho seguito la procedura». Meglio «rivolgersi al Tar - suggerisce adesso -, magari impugnando il diniego. Oppure alla commissione accesso agli atti. Comunque tutti gli altri compiti svolti durante l'anno sono aperti e accessibili».
Restano la rassegnazione e l'amarezza per «una chiusura incomprensibile - commenta Giorgio Negri -. Questo atteggiamento da parte di chi dovrebbe insegnare l 'humanitas non è un buon esempio. Il mondo dell'Istruzione ha perso un'occasione». Mentre il pensiero torna per un attimo agli anni in cui Enrico sedeva tra i banchi dell'allora sezione «B», gli occhi di Monica Denardi, insegnante di greco e latino, si fanno umidi dietro gli occhiali. La ferita è ancora lacerante.
«Un ragazzo pieno di talento - racconta -, di
spunti, di riflessioni. Una personalità. Pretendeva molto da sé stesso». Anche all'Università di Trieste, dove si era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza, prima di decidere di calare il sipario sulla sua giovane vita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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