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Quando il ministro Tria sosteneva lo sforamento del deficit

C'è un Tria professore e un Tria ministro? Oppure Tria ha semplicemente rinnegato (o peggio ancora è stato costretto a farlo) le tesi che lui stesso sosteneva?

Quando il ministro Tria sosteneva lo sforamento del deficit

Ora che il deficit spacca il governo e che il ministro Giovanni Tria è al centro del tritacarne della legge di Bilancio, vale la pena rammentare il tempo in cui l'economista ragionava come Di Maio. Era il 6 giugno 2018, Tria era diventato titolare del dicastero dell'Economia da 5 giorni. In un lavoro accademico, firmato a quattro mani con Pasquale Lucio Scandizzo e pubblicato da Formiche.net, veniva sciorinata una ricetta per sforare il deficit. Sì, avete sentito bene.

"Un vasto programma di investimenti pubblici infrastrutturali potrebbe essere attuato e finanziato in deficit senza creare un problema di sostenibilità dei debiti pubblici attraverso un finanziamento monetario palesemente condizionato a livello europeo", scriveva Tria, aggiungendo che ogni Stato membro Ue dovrebbe poter prevedere "anche un temporaneo aumento del deficit destinato a far partire questi programmi", aumento del deficit che "dovrebbe essere considerato accettabile".

Il ministro sosteneva che l’effetto positivo degli investimenti "è particolarmente forte nel caso degli investimenti pubblici nelle infrastrutture e nell’istruzione perché queste aumentano lo stock di capitale umano e fisico e quindi la capacità produttiva aggregata con effetti virtuosi sulla crescita di lungo termine". Una spesa pubblica aggiuntiva, quindi, che secondo Tria sarebbe in grado di produrre ricadute positive sull'intera economia del Paese.

Il nodo dell'introduzione di una ''golden rule'' per scorporare le spese degli investimenti dai conteggi europei del deficit non è nuovo: la richiesta è stata avanzata nel passato anche dal precedenti governi, ma non è entrata - se non per le spese del terremoto - nei conteggi della ''flessibilita''' concessa al Paese. Il paper di Tria allarga comunque il ragionamento su un impatto europeo, non solo italiano e parte dall'analisi degli effetti della crisi.

"Il livello dell'investimento pubblico - viene evidenziato nelle conclusioni del paper- è attualmente ben al di sotto delle soglie auspicate dai tecnici in Europa, in Italia come in Germania. E aumentarlo consentirebbe di attivare anche un circolo virtuoso con gli investimenti privati. Ma è improbabile che ciò avvenga nell'ambito del piano Junker a livello europeo" che "non sembra avere la massa critica". Per questo ogni Stato dovrebbe attivare questa leva "cercando di attirare significativi finanziamenti privati".

Insomma, Tria e Scandizzo, nel testo, erano molto critici sia con il piano Juncker sia, a livello interno, con la mancanza di progettazione, analisi e valutazione da parte del settore pubblico dovuta ad ''una politica miope che è stata perseguita con notevole costanza e che ci lascia oggi a contarne i costi''.

Poche ore dopo, lo stesso 6 giugno, arrivò la precisazione da parte di fonti del Mef: "Quello pubblicato oggi su Formiche.net a firma del prof. Giovanni Tria e del prof. Lucio Scandizzo è un articolo di carattere accademico elaborato nelle settimane scorse nell'ambito di una riflessione scientifica sul ruolo degli investimenti. A tale elaborato non va quindi attribuita la natura di una posizione politica del ministro Tria".

Il tutto senza una dichiarazione ufficiale del diretto interessato.

Che poi però non ha più sostenuto le tesi di sforamento, anzi ha subito assunto il ruolo di rassicuratore dell'Unione Europea, dei mercati, dello spred e della stabilità dei conti pubblici. Ma quindi c'è un Tria professore e un Tria ministro? Oppure Tria ha semplicemente rinnegato (o peggio ancora è stato costretto a farlo) le tesi che lui stesso sosteneva?

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