C'era un tempo non molto lontano in cui il premier Matteo Renzi era tra quelli che volevano abolire il canone Rai. Era, precisamente, il 27 marzo 2015 e durante una conferenza stampa di Palazzo Chigi, il capo del governo disse chiaro e tondo: "Io appartengo a una cultura che vorrebbe eliminare il canone ma so che è molto complesso". Parole che fecero nascere una sorta di diatriba col sottosegretario alle Telecomunicazioni Antonello Giacomelli il quale spiegò di essere più del partito del canone in bolletta e affermò: "Io non so se sono esattamente della scuola del Presidente, però parteciperò all'approfondimento del governo". Il riferimento era alla delega del governo che da lì a poco avrebbe affrontato meglio la questione del pagamento della tassa più odiata dagli italiani.
Le parole di Renzi tuttavia aprirono degli spiragli e alimentarono le illusioni di molti, persino di alcuni deputati. "Sulla riforma della Rai bisogna andare veloci. Il ddl del governo ci piace molto e sosteniamo convintamente il premier Renzi nella missione, apparentemente impossibile, di rendere efficiente l'azienda. Nel 2012, secondo l'Agcom, Mediaset ha raccolto quasi 2 miliardi di pubblicità, la Rai meno di 700 milioni. L'abolizione del tetto pubblicitario per la Rai contenuta nel ddl è la precondizione per l'abolizione o la riduzione del canone, mettendo in condizione l'azienda di essere competitiva e raccogliere nuove risorse senza pesare sulle casse dello Stato", affermarono i Riformatori, l'associazione promossa dai deputati Stefano Dambruoso, Salvatore Matarrese, Pierpaolo Vargiu e Paolo Vitelli e da centinaia di amministratori locali.
Le illusioni, come in perfetto stile renziano, durarono pochissimo.
Il resto è storia di questi giorni. Col segretario democratico che rivendica a piè sospinto la sua rivoluzione: "Pagare tutti, pagare meno: è un grande principio di onestà e di etica". La cultura pro-abolizione del canone è acqua passata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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